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Non resta che nascondersi
Blake Pierce


Un thriller di Adele Sharp #3
“Quando pensi che la vita non potrebbe andare meglio di così, Blake Pierce arriva con un altro capolavoro del thriller e del mistero! Questo libro è pieno di svolte e il finale porta una sorprendente rivelazione. Lo raccomando fortemente per la biblioteca permanente di ogni lettore che ami i thriller davvero ben scritti.”. –Books and Movie Reviews, Roberto Mattos (riguardo a Il Killer della Rosa) . NON RESTA CHE NASCONDERSI è il libro #3 di una nuova serie thriller sull’FBI realizzata dall’autore statunitense campione d’incassi Blake Pierce, il cui bestseller numero #1 Il Killer della Rosa (Libro #1) (scaricabile gratuitamente) ha ricevuto oltre 1.000 recensioni da cinque stelle. . Una coppia italiana in vacanza in Germania viene ritrovava brutalmente assassinata e il caso genera un grido di protesta internazionale. L’agente speciale dell’FBI Adele Sharp è l’unica a possedere un’esperienza internazionale tale da permetterle di valicare il confine e catturare l’assassino. Si troverà quindi a lavorare fianco a fianco con il padre da tanto lontano, che sa molto più di lei riguardo all’omicidio irrisolto di sua madre. . Sebbene ancora scossa dai recenti eventi di Parigi, Adele deve imbarcarsi di nuovo in una selvaggia caccia attraverso la Germania, svelando bugie e inganni dietro a ogni angolo. Adele e suo padre potranno sanare la divisione tra loro?. E potrà lei rintracciare il killer prima che la tragedia colpisca di nuovo?. Una serie thriller piena zeppa di azione con intrighi internazionali e suspense che tiene incollati alle pagine, NON RESTA CHE NASCONDERSI vi costringerà a leggere fino a notte inoltrata. . Il quarto #4 libro della serie di THRILLER DI ADELE SHARP sarà presto disponibile..





Blake Pierce

NON RESTA CHE NASCONDERSI




N O NВ В  R E S T A




C H E




N A S C O N D E R S I




(Un thriller di Adele Sharp—Libro Tre)




B L A K EВ В  P I E R C E




Edizione italiana


a cura di




ANNALISA LOVAT



Blake Pierce

Blake Pierce è l’autore statunitense oggi campione d’incassi della serie thriller RILEY PAGE, che include diciassette. Blake Pierce è anche l’autore della serie mistery MACKENZIE WHITE che comprende quattordici libri; della serie mistery AVERY BLACK che comprende sei libri;  della serie mistery KERI LOCKE che comprende cinque libri; della serie mistery GLI INIZI DI RILEY PAIGE che comprende cinque libri; della serie mistery KATE WISE che comprende sette libri; dell’emozionante mistery psicologico CHLOE FINE che comprende sei libri; dell’emozionante serie thriller psicologico JESSE HUNT che comprende sette libri (e altri in arrivo); della seria thriller psicologico RAGAZZA ALLA PARI, che comprende tre libri (e altri in arrivo); della serie mistery ZOE PRIME, che comprende tre libri (e altri in arrivo); della nuova seria thriller ADELE SHARP e della nuova serio di gialli VIAGGIO IN EUROPA.



Un avido lettore e da sempre amante dei generi mistery e thriller, Blake ama avere vostre notizie, quindi sentitevi liberi di visitare il suo sito www.blakepierceauthor.com (http://www.blakepierceauthor.com/) per saperne di piГ№ e restare informati.








Copyright © 2020 di Blake Pierce. Tutti i diritti riservati. A eccezione di quanto consentito dall’U.S. Copyright Act del 1976, nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, distribuitao trasmessa in alcuna forma o in alcun modo, o archiviata in un database o in un sistema di raccolta, senza previa autorizzazione dell’autore. Questo ebook è concesso in licenza esclusivamente ad uso ludico personale. Questo ebook non può essere rivenduto né ceduto ad altre persone. Se desidera condividere questo libro con un'altra persona, la preghiamo di acquistare una copia aggiuntiva per ogni beneficiario. Se sta leggendo questo libro e non l’ha acquistato, o non è stato acquistato esclusivamente per il suo personale uso, la preghiamo di restituirlo e di acquistare la sua copia personale. La ringraziamo per il suo rispetto verso il duro lavoro svolto da questo autore. Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, imprese, organizzazioni, luoghi, eventi e incidenti sono il prodotto della fantasia dell’autore o sono usati romanzescamente. Qualsiasi somiglianza con persone reali, vive o morte, è del tutto casuale. Immagine di copertina Copyright Arm001, utilizzata sotto licenza da Shutterstock.com.



LIBRI DI BLAKE PIERCE




LA SERIE THRILLER DI ADELE SHARP

NON RESTA CHE MORIRE (Libro #1)

NON RESTA CHE SCAPPARE (Libro #2)

NON RESTA CHE NASCONDERSI (Libro #3)


THRILLER DI ZOE PRIME

IL VOLTO DELLA MORTE (Libro #1)

IL VOLTO DELL’OMICIDIO (Libro #2)

IL VOLTO DELLA PAURA (Libro #3)


LA RAGAZZA ALLA PARI

QUASI SCOMPARSA (Libro #1)

QUASI PERDUTA (Libro #2)

QUASI MORTA (Libro #3)


I THRILLER PSICOLOGICI DI JESSIE HUNT

LA MOGLIE PERFETTA (Libro #1)

IL QUARTIERE PERFETTO (Libro #2)

LA CASA PERFETTA (Libro #3)

IL SORRISO PERFETTO (Libro #4)

LA BUGIA PERFETTA (Libro #5)

IL LOOK PERFETTO (Libro #6)

LA TRESCA PERFETTA (Libro #7)

L’ALIBI PERFETTO (Libro #8)


I GIALLI PSICOLOGICI DI CHLOE FINE

LA PORTA ACCANTO (Libro #1)

LA BUGIA DI UN VICINO (Libro #2)

VICOLO CIECO (Libro #3)

UN VICINO SILENZIOSO (Libro #4)

RITORNA A CASA (Libro #5)

FINESTRE OSCURATE (Libro #6)


I GIALLI DI KATE WISE

SE LEI SAPESSE (Libro #1)

SE LEI VEDESSE (Libro #2)

SE LEI SCAPPASSE (Libro #3)

SE LEI SI NASCONDESSE (Libro #4)

SE FOSSE FUGGITA (Libro #5)

SE LEI TEMESSE (Libro #6)

SE LEI UDISSE (Libro #7)


GLI INIZI DI RILEY PAIGE

LA PRIMA CACCIA (Libro #1)

IL KILLER PAGLIACCIO (Libro #2)

ADESCAMENTO (Libro #3)

CATTURA (Libro #4)

PERSECUZIONE (Libro #5)

FOLGORAZIONE (Libro #6)


I MISTERI DI RILEY PAIGE

IL KILLER DELLA ROSA (Libro #1)

IL SUSSURRATORE DELLE CATENE (Libro #2)

OSCURITA’ PERVERSA (Libro #3)

IL KILLER DELL’OROLOGIO (Libro #4)

KILLER PER CASO (Libro #5)

CORSA CONTRO LA FOLLIA (Libro #6)

MORTE AL COLLEGE (Libro #7)

UN CASO IRRISOLTO (Libro #8)

UN KILLER TRA I SOLDATI (Libro #9)

IN CERCA DI VENDETTA (Libro #10)

LA CLESSIDRA DEL KILLER (Libro #11)

MORTE SUI BINARI (Libro #12)

MARITI NEL MIRINO (Libro #13)

IL RISVEGLIO DEL KILLER (Libro #14)

IL TESTIMONE SILENZIOSO (Libro #15)

OMICIDI CASUALI (Libro #16)

IL KILLER DI HALLOWEEN (Libro #17)


UN RACCONTO BREVE DI RILEY PAIGE


UNA LEZIONE TORMENTATA




I MISTERI DI MACKENZIE WHITE

PRIMA CHE UCCIDA (Libro #1)

UNA NUOVA CHANCE (Libro #2)

PRIMA CHE BRAMI (Libro #3)

PRIMA CHE PRENDA (Libro #4)

PRIMA CHE ABBIA BISOGNO (Libro #5)

PRIMA CHE SENTA (Libro #6)

PRIMA CHE COMMETTA PECCATO (Libro #7)

PRIMA CHE DIA LA CACCIA (Libro #8)

PRIMA CHE AFFERRI LA PREDA (Libro #9)

PRIMA CHE ANELI (Libro #10)

PRIMA CHE FUGGA (Libro #11)

PRIMA CHE INVIDI (Libro #12)

PRIMA CHE INSEGUA (Libro #13)

PRIMA CHE FACCIA DEL MALE (Libro #14)


I MISTERI DI AVERY BLACK

UNA RAGIONE PER UCCIDERE (Libro #1)

UNA RAGIONE PER SCAPPARE (Libro #2)

UNA RAGIONE PER NASCONDERSI (Libro #3)

UNA RAGIONE PER TEMERE (Libro #4)

UNA RAGIONE PER SALVARSI (Libro #5)

UNA RAGIONE PER MORIRE (Libro #6)


I MISTERI DI KERI LOCKE

TRACCE DI MORTE (Libro #1)

TRACCE DI OMICIDIO (Libro #2)

TRACCE DI PECCATO (Libro #3)

TRACCE DI CRIMINE (Libro #4)

TRACCE DI SPERANZA (Libro #5)




CAPITOLO UNO


Il capo squadra guardò la notifica scorrendo sullo schermo del suo cellulare satellitare. Vermisstes. Persone scomparse. Il messaggio veniva dritto dal BKA. Strano che l’agenzia dell’Intelligence tedesca si interessasse così rapidamente alla cosa. Però c’era anche da dire che queste due non erano le solite persone scomparse.

Il capo squadra sistemò la cerniera del suo giaccone rosso e verde sbiadito e fece un cenno agli altri tre membri della sua unità. Volontari. Tutti quanti. Il logo in nitide lettere nere: Bergwacht Deutchsland. Soccorso montano, Germania. Avanzarono con passi pesanti in mezzo alla neve, la luce della sera che man mano calava. Avevano ancora un’ora di tempo e poi sarebbero dovuti tornare indietro. Non aveva senso proseguire le ricerche di notte e mettere a repentaglio anche la sicurezza della sua squadra. Una forra si apriva sul ripido e scivoloso pendio alla loro sinistra, mentre a destra la montagna si ergeva ancora più alta, minacciando di perforare le tetre nubi grigie di sopra.

Le Alpi bavaresi erano una catena montuosa lunga e intricata. E due esperti di sci alpinismo come le due persone scomparse potevano aver coperto una distanza significativa dal Wolfsschluct Resort nel tempo che era ormai trascorso.

Sasha, la guida locale, indicò qualcosa in lontananza. Il capo squadra si fermò sentendo il ronzio di un motore in avvicinamento. Si voltò, il vento gelido che gli sferzava il volto scoperto, e osservò l’elicottero arancione che sfrecciava nel cielo azzurro. Le pale ruotavano, a ritmo regolare e continuo, il suono che rimbalzava riecheggiante tra le montagne avvolte nella neve.

“Kapitän,” disse Jerome, il più giovane del gruppo. Sbuffò leggermente, arrancando e avvicinandosi al capo squadra con passi rapidi, spruzzando la neve attorno mentre i suoi scarponi affondavano e si rialzavano lungo il sentiero ammantato.

“Mmm?” disse Luka Porter, il capitano dell’unità.

Jerome si chinò verso di lui, gridando per farsi sentire sopra al rumore dell’elicottero. “Non ci sono più tracce di sci. Scheisse! Pensò che dovremo tornare sui nostri passi.”

Luka guardò il giovane e respirò, lasciando uscire dalla bocca un soffio di vapore che si levò verso il cielo della sera. Rispose in tedesco. “Nein. Torniamo indietro, e sai cosa succede poi?” chiese con tono tranquillo.

Jerome esitò. “Si… si sta facendo buio, signore. È solo questo. Pensavo che una delle regole fosse di tornare prima di notte.”

Luka si grattò il mento, ricoperto da una rada peluria. Quella mattina l’avevano svegliato presto e non aveva avuto modo di radersi. Questi Vermisstes erano persone importanti. E la cosa era stata ulteriormente evidenziata dalla presenza degli agenti del BKA che si erano presentati di persona a casa sua per trascinarlo all’ufficio accanto al resort.

“Un’ora,” disse Luka. “Poi torniamo. Ma ancora un’ora.”

Jerome parve deluso, ma riuscì a mascherare piuttosto bene la cosa. Entrambi avanzarono nella neve lungo il sentiero, seguendo Sasha che li conduceva, seguendo la traiettoria dell’ultima direzione nota seguita dai due italiani.

“Ho sentito… ho sentito che erano ricchi,” disse Jerome, ansimando ora tra una parola e l’altra. Parte delle sue energie e del suo zelo stavano iniziando a dissolversi adesso, man mano che la neve si faceva più profonda.

Luka sbuffò ancora, limitando le sue parole, risparmiando le forze. “Scomparsi da ventiquattr’ore. Con questo tempo, a novembre, ricchi o no congeleranno comunque.”

“O peggio,” mormorò Jerome.

Luka si accigliГІ ma non rispose, facendo ad entrambi il favore di risparmiare il fiato.

In quel momento Sasha, che si trovava più avanti sul sentiero, sollevò una mano. Nelle ultime ore aveva nevicato a intermittenza e le precipitazioni, per quanto leggere, avevano nascosto ogni traccia di sci. Ma Sasha ora gesticolava rapidamente, attirando l’attenzione di Luka e Jerome.

“Cosa c’è?” esclamò Luka.

Sasha stava indicando verso il cielo e i due uomini seguirono la direzione del suo dito.

Un fascio di luce blu si estendeva nell’orizzonte della sera, partendo dall’elicottero e disegnando dei cerchi attorno a un piccolo gruppo di alberi sulla sommità del crepaccio, vicino al pendio.

“Hanno trovato qualcosa!” gridò Sasha.

Luka annuì e accelerò il passo, sentendo ora il freddo pungente e il vapore del suo fiato che gli si congelava sulle guance. Chinò la testa in avanti, seguendo i passi di Sasha mentre si avvicinavano rapidi agli alberi. La coppia di italiani era partita dal resort con gli sci più di ventiquattr’ore prima. Ma c’erano ancora delle probabilità che fossero sopravvissuti. Con l’adeguato abbigliamento e magari avendo trovato riparo, di sicuro non si trovavano in ottime condizioni, ma la morte non era una certezza. Molte delle persone che loro venivano inviati a cercare con la loro unità Bergwacht, finivano con il venire salvate. Molte, ma non tutte.

Si avvicinarono agli alberi, seguendo Sasha che aveva gli sci legati a tracolla. La neve qui era troppo fresca, troppo leggera per poter sciare. Luka si accigliò: allora perché l’elicottero stava indicando questo punto?

Larici e abeti si ergevano attorno all’area indicata dal fascio di luce blu, che sembrava farsi sempre più evidente man mano che il buio della sera avanzava.

“Luci!” esclamò Luka.

Gli altri membri della squadra di ricerca e salvataggio accesero le loro torce e Luka tirò fuori la sua vecchia lampada di sicurezza da 100.000 lumen. Premette l’interruttore e la puntò in direzione degli alberi. Luka sbatté un momento le palpebre davanti alla potente luminosità: sembravano i fanali di un’auto della polizia. Fece cenno agli altri di avvicinarsi.

La cautela era la regola. Jerome, il loro volontario delle forze dell’ordine, impugnò la pistola che aveva al fianco. L’attenzione non era mai troppa sulle Alpi. In quelle montagne si potevano trovare ogni genere di animali.

“Vedo qualcosa,” esclamò Sasha mentre avanzava verso gli alberi. La neve scricchiolava sotto ai piedi, suggerendo che l’ultima nevicata fosse stata per lo più schermata dagli alberi, lasciando solo dei residui, oltre a ciò che era caduto dai rami.

“Attenta,” la avvisò Jerome, l’arma pronta nella mano coperta dal guanto.

Sasha annuì, ma agitò una mano in aria come a far intendere che non c’erano problemi. Avanzò verso la porzione di foresta indicata dall’elicottero. Poi si fermò di colpo.

Ora anche Luka poteva vedere. Difficile non notarle. Delle forme scure sulla neve. Macchie scure.

La pistola di Jerome si abbassò lentamente mentre si avvicinavano, passando in mezzo agli alberi. Poi il giovane imprecò e il suo braccio si rilassò al fianco. “Oh mein Gott,” disse, mormorando una rapida preghiera prima di farsi il segno della croce.

Luka passГІ oltre Jerome e si portГІ accanto a Sasha, sotto a un enorme abete. Spinse di lato un ramo con una mano e scrutГІ tra la boscaglia innevata, gli occhi fissi sulla scena.

“I turisti?” chiese Sasha con voce bassa e tremante.

“Chiama la centrale,” disse Luka con tono secco. “Ora.”

Sentì Sasha al suo fianco che trafficava con il suo telefono satellitare, poi il rapido bip dei pulsanti in risposta. Ascoltò l’elicottero che ancora ronzava sopra di loro, come un avvoltoio che vola in cerchio sopra a una carcassa. Jerome cercò di avvicinarsi di più, ma Luka tese un braccio, spingendo il giovane indietro. “No,” disse rapidamente. “Non si può toccare la scena.”

“Cosa… cosa pensi sia stato?” mormorò Jerome con gli occhi fissi.

Luka riportò l’attenzione verso il punto illuminato, per quanto fosse difficile. Aveva già visto in passato vittime di attacchi da parte di animali, ma mai niente del genere. Gli attacchi di orsi non erano comuni nella regione, o almeno non lo erano da molto tempo. Recentemente però, negli ultimi anni, si erano verificati più avvistamenti di orsi grigi nelle Alpi.

Ora le prove giacevano davanti ai suoi occhi.

Due corpi, o almeno ciò che ne restava. Insanguinati, congelati, sparpagliati come gocce e spruzzi di un’opera impressionistica. Alcuni schizzi erano addirittura arrivati agli alberi. Pezzi di carne umana ornavano il terreno. Un piede mozzato era incastrato in un arboscello che era cresciuto curvo e rachitico per la mancanza di luce.

I corpi erano devastati da solchi e tagli insanguinati. Un sacco di sangue. Troppo, tanto da suggerire che le vittime fossero rimaste in vita per buona parte di quella carneficina.

Luka rimase fermo a fissare la scena, il braccio teso, la mano posata contro il corpo di Jerome mentre ascoltava Sasha. “Sì… sì, l’agente è ancora lì? Quello del BKA? No, Franz, non c’è tempo… adesso. Pensiamo… pensiamo di averli trovati.” Una pausa. Una voce metallica dall’altra parte. Sasha deglutì. “Morti,” disse. “Decisamente morti.”




CAPITOLO DUE


Un’altra vibrazione sulla sua scrivania. Adele abbassò lo sguardo e resistette all’impulso di ruotare gli occhi al cielo. Angus. Di nuovo. Erano tre giorni ormai che le mandava messaggi.

Adele spinse il telefono di lato, nascondendolo sotto a una pila di carte raccolte in precario equilibrio su un portadocumenti di metallo. Era in ritardo. Aveva posticipato il lavoro cartaceo ormai per troppo tempo. L’agente Grant, sua sovrintendente a San Francisco, era una persona paziente, ma anche lei stava iniziando a stancarsi delle procrastinazioni di Adele.

In effetti, il suo ultimo commento era stato qualcosa come: “Restatene in quello stramaledetto ufficio. Chiudi la porta a chiave e non uscire se non per portare quei moduli sulla mia scrivania. Capito? Cristo, Adele, ho quelli della burocrazia che mi stanno con il fiato sul collo.”

Certo non le parole più confortanti da sentirsi riecheggiare nella testa mentre tentava di compilare quelle scartoffie scadute da tempo. Adele arricciò il naso e lanciò un’occhiata alla mug vuota. Il debole aroma di caffè ancora aleggiava nell’aria del piccolo ufficio. Era davvero poco più di una cabina armadio con la porta in vetro opaco. Privo di finestre, con una scrivania e una sedia come unico arredamento e una luce giallognola appesa sopra alla sua testa. Ma le era più che sufficiente.

Adele sollevò un’altra cartella, la lasciò cadere davanti a sé e iniziò a sfogliare tra le pagine. Le si appannarono gli occhi, la mano che teneva la penna divenne floscia, posata sulla scrivania. Solo altri cinquanta documenti da compilare.

Le gioie di lavorare come corrispondente tra diverse agenzie erano difficili da enfatizzare.

Finalmente trovГІ la porzione di documento che le interessava e si mise a compilarlo.

Un’altra vibrazione.

“Dannazione!” gridò Adele, lanciando la penna contro la pila di carte che ora coprivano il suo cellulare.

Afferrò il telefono, lo sollevò e lesse �4 Nuovi Messaggi’. Tutti da Angus. Il bell’informatico dai capelli ricci l’aveva mollata pochi mesi prima. E al tempo lei aveva addirittura pensato che fossero prossimi al fidanzamento ufficiale.

Adele adocchiГІ la pila di cartelle, poi il telefono. Poi, mormorando sommessamente tra sГ© e sГ©, sbloccГІ lo schermo e diede una scorsa ai messaggi di Angus.

Ehi, Adele, hai un sec?

Un sec? Caratteristico. Grazioso. Dritto al dunque.

Non so se hai ricevuto il mio ultimo messaggio. Possiamo parlare?

Diede un’occhiata a quando i messaggi erano stati inviati. A sole due ore di distanza l’uno dall’altro. Era solo la sua immaginazione, o Angus era sul disperato? E poi cosa poteva volere da lei?

Adele, senti… Mi spiace di come sono finite le cose. Ci sto pensando un sacco. Credi che potremmo chiarire le cose questa settimana?

Adele inarcò le sopracciglia mentre faceva ritmicamente picchiettare la penna contro i denti. Interessante. Era… era possibile che Angus volesse rimettersi con lei?

Lesse l’ultimo messaggio che diceva semplicemente:

Per favore.

Adele sospirò e infilò di nuovo il telefono sotto alla pila di carte nel portadocumenti di metallo. Non aveva senso starci a pensare adesso. Era sommersa dal lavoro. Ferire un poco i sentimenti di Angus non era niente confronto a quello che l’agente Grant avrebbe potuto fare a lei se avesse posticipato di un’altra giornata la compilazione di quei moduli. E poi Angus aveva fatto la sua parte, in quanto a ferirla, l’ultima volta che avevano interagito.

Adele allargò le spalle e cercò di riportare l’attenzione sulle carte.

Niente da fare.

Si appoggiò allo schienale ed emise un sommesso sbuffo, soffiando verso il soffitto, come se il suo fiato potesse incapsulare la lampadina gialla e fondersi con la luce che emanava. Anche se lui le aveva fatto del male, a lei non interessava rendergli il favore. Era stato un bravo compagno, un compagno solido. Prevedibile? Forse un po’. Affidabile? Di sicuro. Anche onesto, seppure a volte troppo carino, troppo esitante.

Sicuro. Ecco forse la parola piГ№ corretta per descriverlo. Adesso anche ricco, se quello che aveva sentito della sua ultima societГ  informatica era vero.

La sua mano sinistra avanzò ancora lentamente verso il telefono, ma Adele esitò, lasciandola sospesa a sfiorare con le dita la superfice liscia della carta. Tutte quelle carte avrebbero potuto essere in qualche modo evitabili – in buona parte – se il suo lavoro non le imponesse costantemente di passare così tanto tempo tra un aereo e l’altro per spostarsi tra le varie agenzie. Quando aveva accettato di lavorare con l’Interpol come corrispondente tra BKA, DGSI ed FBI, aveva pensato di sapere a cosa andava incontro. Ma adesso…

ArricciГІ di nuovo il naso guardando la pila di cartelle che aveva davanti.

Forse era ora di mettere radici. In movimento, in costante movimento… non era la strada giusta per arrivare a una vita felice, no? Adele aveva recentemente letto un articolo su Psychology Meritus, una rivista di cui l’Unità comportamentale dell’FBI si fidava ciecamente, che diceva che la gente in costante spostamento in età giovane e che poi continuava a muoversi anche in età adulta, spesso aveva difficoltà nel connettersi con gli altri. La minaccia portata da sradicamento e partenze poteva talvolta avere degli effetti traumatici su un bambino.

Adele aggrottГІ la fronte a quel pensiero. Poteva essere vero? Non era che lei avesse molti amici.

Pensò a Robert e un piccolo sorriso le incurvò le labbra. Anche l’agente Grant, sebbene fosse la sua capa, era una persona su cui poteva fare affidamento.

Il suo sorriso si smorzò un poco quando pensò a John Renee. Tiratore scelto, insuperabile e spiritoso stronzo. Tutt’altro che sicurezza in John. L’anti-Angus, in molti modi.

Ora pensierosa, allungГІ la mano a prendere il telefono, intenzionata a chiamare Angus. Una chiamata non poteva nuocere, no? Soprattutto se lui voleva tornare con lei. Cosa gli avrebbe detto? Lo avrebbe capito sentendo la sua voce?

Mentre raccoglieva il telefono e ne sentiva il peso leggero, quello iniziò a suonare. Nessuna vibrazione questa volta, ma un trillo acuto. L’unico numero che era impostato per produrre un suono nel suo telefono veniva dal piano di sopra.

Il suo cipiglio si fece più accentuato, tanto che Adele poteva sentire i solchi che le segnavano la fronte mentre si portava il telefono all’orecchio. “Agente Grant, sto lavorando ai moduli. Non ho ancora finito, ma dovrei…”

“Adele, lascia perdere i moduli,” disse la voce dall’altra parte. “Abbiamo bisogno di te di sopra.”

“Sei sicura? Se mi dai ancora qualche ora, sono sicura di poter…”

“Lascia perdere i moduli, Adele,” disse la voce dell’agente Grant. Sembrava forzata, riluttante, ma certa. “Sbrigati. Abbiamo qualcosa per le mani.”

“Arrivo subito.”

Adele aspettò il silenzio dall’altro capo del telefono prima di abbassare il cellulare e fissare per un momento la sua scrivania. Abbiamo qualcosa per le mani. Il modo in cui la Grant l’aveva detto le fece scorrere un formicolio lungo le braccia.

Va bene, le radici – almeno per ora – potevano aspettare.

Adele si alzò dalla sedia, si infilò il telefono in tasca e – tentando di non sorridere troppo – prese distanza dalla pila di carte, uscendo dalla porta e dirigendosi al piano di sopra, verso l’ufficio dell’agente Grant.




CAPITOLO TRE


Mentre entrava nell’ufficio dell’agente Grant, Adele fu sorpresa di vedere la signora Jayne seduta davanti alla scrivania, le mani intrecciate sopra a un ginocchio in misurata e paziente posa d’attesa. Adele esitò e cercò di non aggrottare la fronte per la confusione. Si guardò attorno nella stanza, aspettandosi quasi di vedere apparire anche il direttore Foucault. Ma questa volta non c’era segno del capo francese del DGSI.

La signora Jayne invece lavorava per l’Interpol. Era una donna di una certa età, con occhi luminosi e intelligenti dietro a un paio d’occhiali con la montatura in osso. Aveva i capelli argentati e una corporatura un po’ più pesante della media tra gli agenti sul campo. Adele sapeva per esperienza che la signora Jayne parlava con un accento che lasciava intendere la sua impeccabile padronanza della lingua inglese, che però non sembrava essere la sua lingua madre.

Adele si chiuse la porta alle spalle e si addentrò nell’ufficio dell’agente Grant. Se la signora Jayne aveva ritenuto opportuno venire lì di persona, avevano effettivamente qualcosa per le mani.

L’agente Grant si schiarì la gola dietro alla sua scrivania. La sovrintendente di Adele si passò una mano tra i capelli di media lunghezza e premette le labbra tra loro assumendo un’espressione severa. Aveva solo qualche anno più di Adele, ma c’erano delle rughe premature attorno alla bocca e agli angoli degli occhi. Lee Grant aveva preso il suo nome dai due generali della Guerra Civile ed era ben conosciuta nell’ufficio operativo di San Francisco per le sue incursioni fuori dall’edificio per recarsi di persona sulle scene del crimine ogni qualvolta le capitava l’opportunità o la scusa per sgranchirsi le gambe. Adele sospettava che in segreto l’agente Grant sentisse la mancanza del lavoro sul campo. E anche se non l’avrebbe mai detto, era certa che le abilità della Grant fossero sprecate dietro a una scrivania.

“Sharp,” disse la donna, facendole un cenno di saluto da dietro la scrivania.

“Agente Sharp,” disse la signora Jayne annuendo e facendo così oscillare il suo caschetto di capelli tagliati in modo impeccabile.

“Signora Jayne,” disse Adele con tono esitante. Non aveva mai saputo il nome proprio della donna. Fece poi un cenno di saluto anche alla Grant. “Come posso esservi di aiuto?”

Aspettò, permettendo al silenzio di prendere spazio tra loro mentre le due donne di grado superiore si scambiavano un’occhiata. Poi l’agente Grant spezzò il silenzio. “Abbiamo una situazione… complessa e delicata.”

Gli occhi della signora Jayne si stinsero quasi impercettibilmente dietro ai suoi occhiali. Una breve incrinatura del suo aspetto perfetto e compunto, ma Adele la colse prima che la donna riassumesse la consueta espressione placida, animata dai suoi occhi vivaci.

“Delicata?” chiese Adele. “”Beh, qualsiasi cosa mi abbia tirata via dal mio lavoro cartaceo…” Ridacchiò debolmente, ma vedendo che la battuta non veniva accolta, fece nuovamente silenzio.

“La gente del luogo,” iniziò la signora Jayne con il suo normale tono preciso e netto, “pensa che si tratti dell’attacco di un orso bruno.”

Adele tentò un altro sorriso, ma abbandonò ancora una volta il fiacco tentativo di alleggerire l’atmosfera. “Non sapevo che ci fossero orsi bruni a San Francisco,” disse.

L’agente Grant scosse la testa. “Nelle Alpi.”

“Nelle… nelle Alpi?”

“Una grande catena montuosa che si allunga toccando otto Paesi europei,” spiegò l’agente Grant.

“Oh, ehm, sì, no… cioè sì. So cosa sono. Quindi c’è un caso nelle Alpi?”

Adele pensГІ ai messaggi di Angus. PensГІ al proprio desiderio di mettere radici. Ma allo stesso tempo un leggero brivido di eccitazione le percorse la spina dorsale. Questa volta fece fatica a trattenere il sorriso che minacciava di incurvarle le labbra.

“Sì,” disse l’agente Grant. “Come ho detto, la gente del posto pensa che si tratti dell’attacco di un orso. Una ricca coppia italiana in vacanza in una località sciistica. Entrambi esperti provetti nello sci alpinismo. Entrambi trovati morti, dilaniati.”

Adele annuì. “Ma non un orso?”

La Grant si voltò a guardare l’altra donna nella stanza. La signora Jayne teneva le mani intrecciate sopra al ginocchio e scrutò Adele da dietro i suoi occhiali. “Quelli della squadra di ricerca e soccorso locale hanno accennato ai media la possibilità di un orso bruno. Per ora restano su quella pista.”

Adele annuì. L’inglese della signora Jayne – come sempre – era perfetto, anche se netto e sterile. La corrispondente dell’Interpol continuò. “Al momento stiamo consentendo a questa storia di tenere testa. Per ora.”

“Ma sapete che non si tratta di un orso?” Adele esitò. “Perché la copertura?”

“Nessuna copertura,” disse la signora Jayne. I suoi occhi si socchiusero ancora una volta, appena un secondo, dietro ai suoi occhiali, ma di nuovo il gesto era sparito prima che una qualsiasi persona media potesse notarlo. Adele però passava molto del suo tempo a stare attenta ai dettagli. L’irritazione della signora Jayne non passò inosservata per lei. Ma rimase in silenzio, permettendo alla donna di continuare. “Una situazione delicata,” disse l’inviata dell’Interpol, ripetendo le parole usate dalla Grant. “Una benestante coppia italiana muore in Germania. E dati i collegamenti politici della coppia in Italia, beh… può capire perché l’Interpol voglia gestire la cosa con attenzione, per la soddisfazione di tutte le parti coinvolte.”

“Sono… sono confusa,” disse Adele, percorrendo lentamente con le dita il bordo della scrivania della Grant. Tenne gli occhi bassi, ascoltando ma senza più guardare, seguendo la leggera striscia di polvere rimossa dal lato del tavolo. “Avete detto che questa cosa ha a che vedere con le Alpi. Non un solo resort, non una sola montagna. Ma la catena montuosa… Giusto?”

La signora Jayne annuì. “Sì. Buon intuito. Gli italiani non sono stati l’unico fatto. È sparita un’altra coppia. Svizzeri. A circa trecento chilometri da lì. Una settimana fa: non li abbiamo ancora trovati.”

“E mi faccia indovinare: anche loro nelle Alpi?”

“Esatto. Le Alpi francesi, per l’esattezza.”

Adele resistette all’urgenza di sospirare e fece del proprio meglio per mantenere la propria espressione e respirare in maniera neutra. “Capisco… e lei è venuta qui di persona perché…?”

La signora Jayne stese le gambe, prima accavallate, e posò entrambi i piedi delicatamente sul pavimento. Poi si chinò in avanti e fissò Adele negli occhi. “Non si vedono collegamenti tra la coppia di italiani e quella di svizzeri, a parte il luogo dove sono scomparsi, e pure in quel caso c’erano un bel po’ di chilometri tra loro. Eppure…”

“Mi lasci indovinare: anche la famiglia svizzera di cui stiamo parlando era ricca e importante?” chiese Adele.

La signora Jayne annuì con decisione. “È importante che la cosa venga gestita con discrezione. Ci sono già troppi galli a cantare. Non vorremmo rischiare che non venisse mai giorno.”

“Immagino che lei non sia venuta qui a parlare di galline, comunque.”

L’agente Grant sbuffò leggermente e Adele alzò gli occhi, incrociando lo sguardo della sua sovrintendente. “Stanno cercando un altro gallo,” disse la Grant con un cenno del capo in direzione della signora Jayne.

Questa volta Adele si lasciò andare a un sospiro, anche se cercò di mascherarlo con uno sbadiglio, che subito però considerò essere ancora meno appropriato. Si affrettò quindi a chiedere: “Allora volete che vada sulle Alpi a indagare su un caso di persone scomparse, non collegate tra loro, dove il colpevole potrebbe essere a sua volta congelato, o in alternativa un grizzly famelico?”

La signora Jayne si alzò lentamente in piedi, sistemandosi l’abito fatto su misura. “Orso bruno. E abbiamo forti motivi per credere che le uccisioni non abbiano niente a che vedere con gli animali selvatici. Non sarei venuta qui se non fosse stato così importante. Bene, signorina Sharp, possiamo contare sul suo aiuto?”

Adele inarcò un sopracciglio voltandosi a guardare l’agente Grant che sbuffò e annuì. “Non ho voce in capitolo. I piani alti hanno già confermato. Decisione tua, Adele.”

C’era qualcosa di significativo nell’occhiata che la Grant le lanciò mentre aspettava. Adele la fissò, ma poi distolse lo sguardo. Un altro caso. Altro viaggio. Avrebbe avuto tutto il diritto di rifiutare…

E poi?

Tornare alle scartoffie? Ad Angus? Alla sicurezza.

Era davvero così male?

“Per favore,” disse la signora Jayne. E per la prima volta, Adele scorse una nota di disagio nella voce della donna. Si trattava di un caso personale per la corrispondente dell’Interpol? Perché quell’emozione?

Adele esitò, ma poi guardò l’agente Grant dritta negli occhi. “Se trovi qualcun altro per completare i moduli a cui stavo lavorando, ci sto.”

Gli occhi della Grant si socchiusero, e diversamente dalla signora Jayne, la donna non fece nessuno sforzo per mascherare la sua irritazione. Ma alla fine fu il suo turno di sospirare. Poi agitò una mano in aria, indicando la porta. “Ogni tuo desiderio è un ordine. E poi, il tuo volo è già prenotato.”




CAPITOLO QUATTRO


Adele si diresse verso il parcheggio del terzo piano con una leggera corsa. Erano passati più di due mesi da quando era stata all’estero l’ultima volta. Il suo passo era sicuro e, nonostante la struttura fosse coperta, le sembrava di avere il vento tra i capelli. Le radici potevano aspettare: ora che le si era presentata l’opportunità, Adele provava un leggero sollievo all’idea di viaggiare. Una distrazione dalle riflessioni sulla sua vita e il luogo dove trascorrerla? Forse, o forse certe persone semplicemente non erano fatte per stare ferme e radicate nello stesso posto troppo a lungo.

Si schiarì la gola e si sistemò le maniche della camicia mentre due colleghi le passavano accanto, passò attraverso la porta scorrevole in vetro portandosi davanti ai metal detector e alle guardie appostate. Adele salutò con un cenno del capo, ma poi si portò rapida verso il retro della struttura del parcheggio, doveva aveva lasciato la sua berlina.

E inchiodГІ di colpo.

C’era una persona accanto alla sua auto.

Avvicinò la mano con titubanza all’arma di servizio che teneva al fianco, ma le sue dita si impietrirono non appena riconobbe la silhouette dai capelli ricci. Si stava allenando: aveva le braccia più grosse di almeno un paio di centimetri da quando l’aveva visto l’ultima volta, e il giro vita un paio di centimetri più stretto. Lo guardò dalla testa ai piedi, godendosi per un secondo la scena prima di rendere nota la propria presenza.

“Angus?” lo chiamò.

L’ex-fidanzato si girò di scatto e la guardò. Non portava neanche più gli occhiali. Lenti a contatto? Intervento al laser? Aveva i capelli più lunghi di quanto lei ricordasse e aveva una nuova cicatrice, appena visibile, sul labbro superiore.

“Oh cavolo, ciao… Adele,” disse, schiarendosi la gola. In passato la chiamava spesso con dei nomignoli, ma ora pronunciò il suo nome scandendolo con precisione, come se timoroso di esserselo dimenticato.

“Cosa ci fai qui?” gli chiese senza rispondere al suo saluto.

Angus spostò il peso da un piede all’altro, a disagio, appoggiandosi poi al cofano dell’auto. Adele lanciò un’occhiata severa al punto in cui si era seduto, quindi lui tossì e si risollevò dalla macchina, alzando le mani in segno di scuse. “Oh, scusa… ehm, scusa,” disse rapidamente. “È solo che… ero in zona e volevo assicurarmi che…”

“Ho ricevuto i tuoi messaggi.”

“Oh…” Si interruppe. “Oh,” ripeté con voce ferita.

Adele inspirò dal naso, cercando di ricalibrare la propria concentrazione e passare dai pensieri riguardanti una serie di omicidi tra le Alpi al suo impacciato ex-fidanzato. “Senti, Angus. Non ti stavo ignorando. Ero sommersa di lavoro. Non potresti mai credere alla quantità di carte da compilare che mi hanno messo sulla scrivania.”

Angus annuì, continuando a mostrare un’espressione ferita negli occhi. “Capisco,” disse lentamente. Alzò lo sguardo al cielo del pomeriggio che si apriva sopra al terzo piano del parcheggio. Poi sollevò una borsa di carta marrone. “Ti ho portato una cosa. Ce l’avevano nel negozio accanto al lavoro. Beh, a dire il vero era qualche isolato più in là. Ho dovuto girare un po’ di negozi per trovarlo… Ma, sì, ecco qua.”

Le rivolse un sorriso sghembo e spinse la borsetta di carta verso di lei.

Con riluttanza Adele accettò il dono, se non altro per calmare Angus. Sbirciò dentro al sacchetto e parte del suo sorriso divenne autentico. “Oh, Angus,” disse, con voce sommessa e triste. “Non avresti dovuto.”

“Ricordo che sono i tuoi preferiti… giusto? Li mangiavi ogni mattina. Anche a me piacciono i cereali al cioccolato, ma… ahah, mai quanto a te.” Indicò con un cenno del capo la scatola di cereali Chocapic. “Sono tedeschi, giusto?”

Adele abbassò la scatola, stringendo la borsa di carta con la stessa mano che prima si era mossa verso il fianco, quando aveva scorto una presenza accanto all’auto. Angus ovviamente sapeva della sua tripla cittadinanza: americana da parte di padre, francese da parte di madre e tedesca sulla base della nuova residenza della sua famiglia. Ma anche se lo sapeva, l’attenzione di Angus la colpì. Un’attenzione a volte troppo accentuata, e a volte – secondo la sua tacita opinione – rivolta a troppe persone. Sapeva che questo la rendeva egoista, ma ad Adele piaceva essere in qualche modo l’unica a fare breccia nel lato più tenero del suo compagno. Angus invece era come un labrador: mostrava la pancia a tutti. Crescendo, Adele aveva sempre preferito i pit-bull. Affidabili, intelligenti e ferocemente leali, ma solo a una persona.

“Francesi,” gli disse.

“Come scusa?”

“I cereali. Sono francesi. Non importa. Grazie, Angus. Ma di certo non sei venuto fino a qui per darmi una scatola di cereali per la colazione.”

Angus si grattГІ la nuca, arruffandosi i capelli ricci. Adele poteva notare i segni degli occhiali sul naso, ora non piГ№ tanto evidenti, forse ridotti a semplici segni del sole. Accennavano a un passato, a un ricordo.

“Volevo… volevo parlare,” le disse con cautela. “Sto pensando tantissimo… e mi sono davvero preso del tempo…” Iniziò a parlare più velocemente, con tono più alto, raccogliendo il coraggio come se avesse già provato prima quelle parole.

Adele lo guardò con pazienza, in silenzio, permettendogli di parlare ma temendo ciò che sarebbe venuto poi. Voleva tornare insieme a lei? Cos’era questa storia? E lei voleva davvero saperlo?

Radici. Le radici erano la sicurezza. Le radici erano affidabili, certe. Le radici erano una casa, un posto dove tornare.

Adele guardò oltre la parete del parcheggio e scrutò l’orizzonte, il cielo lontano. Una debole vocina – una parte di lei che fingeva di non possedere – le stava dando la sua opinione. Le radici erano una restrizione. Le radici erano come catene. Le radici ti tenevano in trappola.

“Senti, Angus,” gli disse, interrompendolo a metà frase. “Possiamo parlare. Ti prometto che parleremo. Ma ora non è un buon momento.”

Il volto di lui si fece mesto mentre lei gli passava oltre, diretta all’auto. Aprì la portiera e gettò la borsa con i Chocapic sul sedile posteriore. Si voltò e gli sorrise tristemente, sussultando. “Te lo prometto,” ripeté. “Presto. Sto andando fuori città per lavoro. Quando sarò tornata, ok?”

Angus esitò, la bocca mezza aperta. Era stato davvero sempre carino con lei. L’espressione ferita che aveva in volto la faceva sentire come se avesse appena dato un calcio a un cucciolo. Sentì un graffiante senso di colpa stringerle il petto e cercò disperatamente di cacciare quell’emozione. Sapeva, guardandolo, che se si fosse fermata più a lungo avrebbe cambiato idea. Si sarebbe fermata ad ascoltarlo. E poi… le parole avevano il loro modo di convincere le persone. E Adele non era sicura di volersi lasciare convincere. E poi era stato lui a lasciarla. Solo perché lui aveva risolto i suoi problemi, non significava che dovesse valere la stessa cosa per lei.

Con movimenti rapidi, montò in auto, lanciò un altro sorriso dispiaciuto al suo ex e fece per chiudere la portiera. L’opprimente senso di solitudine, di colpa, di confusione la inseguirono fin dentro l’abitacolo e le spinsero le parole fuori dalla bocca. “Più avanti, promesso. Mi spiace, Angus. Davvero, voglio parlare sul serio. Ma non adesso, ok?”

Lui annuì, un’espressione triste negli occhi. “Scusa, Adele. Non avrei dovuto venire qui, hai ragione. La prossima settimana va bene?”

Lei fece una pausa e le si strinse lo stomaco. “Il lavoro mi richiederà un po’ di tempo. È in Europa. Quando torno ti faccio sapere. Sul serio. Ti faccio sapere.”

E detto questo, accese il motore e liberò il posto macchina, salutando Angus con la mano mentre usciva e si allontanava. Mentre lasciava l’edificio, si rifiutò di guardarsi alle spalle e tenne gli occhi fissi davanti a sé, evitando con tutta se stessa di sbirciare nello specchietto retrovisore.

C’era un assassino nella Alpi. forse un serial killer. Due coppie scomparse, a distanza di trecento chilometri l’una dall’altra. Priorità. Doveva concentrarsi. Adele strinse il volante, cacciando via dalla propria mente i pensieri di Angus e facendo un elenco di tutto ciò che le sarebbe servito per il viaggio. Mentre guidava, uscita dal parcheggio, iniziò a prendere velocità e un sorriso le curvò le labbra.

La caccia aveva inizio.


***

Prima classe, niente scali. Questa era vita. O almeno lo sarebbe stata senza le immagini sanguinolente della carneficina, ora disposte sul tavolino reclinabile davanti a lei. Adele studiava le foto della scena del crimine, ascoltando il ronzio dei motori del jet e alzando lo sguardo di tanto in tanto per assicurarsi che non ci fossero hostess di passaggio. Aveva imparato nel modo piГ№ duro, qualche anno prima, quale impatto avessero quelle foto sul pubblico in generale.

Far svenire un’altra assistente di volo durante la traversata atlantica? Meglio di no.

Adele si spostГІ, scivolando lungo lo schienale imbottito per schermare alcune delle foto da sguardi indiscreti. Il signore e la signora Beneveti erano stati trovati due giorni fa, i pezzi sparpagliati tra gli alberi. Il signore e la signora Hanes, coppia svizzera, erano scomparsi quasi una settimana prima di allora, e non erano ancora stati rintracciati.

Qualche centinaio di chilometri separava le due coppie scomparse. Unici collegamenti tra loro: benestanti, influenti, nelle Alpi.

Adele corrugГІ la fronte e allungГІ una mano, prendendo un sorso della sua acqua ghiacciata per poi rimettere il bicchiere al suo posto. Emise un lungo respiro, il cui suono andГІ a perdersi tra le vibrazioni della ventola del condizionatore sopra alla sua testa. TamburellГІ con le dita sul bordo del tavolino, piegando una delle foto che si rifiutava di stare dritta e piatta.

“L’attacco di un orso?” mormorò tra sé e sé, permettendo alla domanda di permeare l’atmosfera circostante.

Non sembrava che fosse così. Non secondo il rapporto preliminare, anche se stavano ancora aspettando il medico legale. Eppure una rapida ricerca online rendeva palesemente chiaro che il pubblico era ancora convito che gli orsi bruni fossero tornati a popolare le Alpi. Ma non c’erano segni di morsi, e alcune porzioni di corpo che sembravano aver subito la furia di artigli, potevano essere stati facilmente ridotti in quello stato da un’ascia o da una piccozza. Alcuni dei tagli erano slabbrati. Giusto… un’ascia arrugginita magari. Un machete poco affilato?

Adele sussultò al pensiero dei due abbracciati tra i boschi gelidi, usciti per una gita in giornata e finiti da…

Da cosa? da chi?

Adele scandagliò ancora le foto, catalogando le informazioni. C’erano agenti dell’FBI molto più svegli di lei, altri che erano più precisi e altri ancora con un ottimo talento naturale. Ma ce n’erano pochissimi che lavorassero sodo quanto lei, che prestassero la medesima attenzione al dettaglio.

Il diavolo stava nei dettagli. E a quanto pareva anche nelle Alpi.




CAPITOLO CINQUE


Il veicolo che avevano mandato a prenderla accostò fuori dal Wolfsschluct Resort e, ringraziato l’autista, Adele uscì dall’auto, felice di poter allungare le gambe e inspirare un po’ di aria fresca. Dall’interno l’autista la chiamò. “Le servono indicazioni?”

Adele si guardò alle spalle e scosse la testa. “No, grazie. Viene una persona a prendermi qui.”

L’autista la salutò, voltandosi a guardare la strada. Adele recuperò il suo bagaglio: non le era mai piaciuto faro fare agli autisti, anche se alcuni agenti lo consideravano un privilegio.

Con il trolley su ruote stretto in una mano, rimase ferma alla rotonda al centro del resort. Quando aveva sentito nominare la prima volta il Wolfsschluct Resort, si era inizialmente figurata un albergo con un paio di piste da sci, magari una o due piscine interne. Ma ciГІ che aveva davanti adesso sembrava piГ№ un intero villaggio spruzzato di neve e circondato da ogni lato dallo scenario piГ№ candido e immacolato che Adele avesse mai visto.

Mentre stava sul bordo della rotonda, subito sotto il marciapiede dell’hotel più grande, osservò la serie di vetrine azzurre e i pittoreschi edifici disposti lungo la strada che portava al valico montano, dove si ergevano delle baite e altre ali dell’hotel, il tutto circondato dalle cime innevate e da un po’ di vegetazione disseminata qua e là. C’era addirittura una chiesetta di pietra e una torre idrica dove si leggeva il nome del resort.

Suo padre l’avrebbe definito un momento divino. La bellezza era di per sé ipnotica: la perfetta fusione di sforzo umano e arte naturale.

Adele guardò la sua valigia mentre rimetteva in ordine i pensieri, cercando di concentrarsi sul motivo per cui si trovava lì.

“Salve!” la chiamò una voce dall’interno dell’hotel che aveva davanti. L’edificio sembrava essere fatto più di vetro che di muri, come se gli architetti non avessero voluto sprecare nessuna opportunità per mettere in bella vista le bellezze delle Alpi.

Adele si voltГІ verso le porte scorrevoli che si erano aperte lasciando apparire una giovane donna sulla ventina che si fermГІ sulla soglia e la salutГІ allegramente con la mano.

Adele sorrise, riconoscendo la ragazza. Aveva i capelli molto più corti dell’ultima volta che si erano incontrate. Quasi rasati a dire il vero. Tutto in lei suggeriva pulizia e ordine. Indossava un abito nero e un paio di stivali che sembravano luccicare per la buona dose di cera applicata. Aveva gli occhi svegli e vivaci e agitò la mano per salutarla, anche se poi interruppe il movimento a mezz’aria facendole un cenno con la testa, forse temendo che il suo entusiasmo potesse essere considerato poco professionale.

“Salve,” le disse di nuovo mentre Adele si avvicinava, portandosi sul marciapiede e prendendo la valigia in una mano e la borsa del portatile nell’altra. “Sono l’agente Beatrice Marshall,” disse, chinando in segno di saluto la testa rasata. Parlava un inglese quasi perfetto, con un leggerissimo accento tedesco.

Adele rispose al saluto. “Lo so,” le disse, sempre in inglese. “Abbiamo già lavorato insieme.”

Il sorriso dell’agente Marshall ricomparve. “Ricordo! Ma non ero sicura che te ne ricordassi anche tu, agente Sharp. È un piacere lavorare di nuovo con te.”

“Idem per me. Allora…” Il tono di Adele si fece più cupo mentre lei si soffermava un secondo sulla soglia del lussuoso hotel. L’atrio era una combinazione di travi in legno laccato e pietra naturale. Una piccola cascata sgorgava in delicati zampilli riversandosi in un laghetto vicino al banco della reception. Un uomo in uniforme bordeaux e oro salutò educatamente con un cenno della testa le due donne, ma poi riportò l’attenzione al computer del check-in.

“Allora…?” ripeté l’agente Marshall. “Posso mostrarti la tua stanza se vuoi.”

Adele si fermò. “Sarebbe perfetto. Questo è il resort dove alloggiava la coppia scomparsa, giusto?”

L’agente del BKA arricciò il naso e annuì. “Sono stati trovati ad appena tre chilometri da qui da una delle squadre di salvataggio montano. Sono qui in attesa, se ti va di parlarci.”

Adele ci rimuginò sopra, mordendosi il labbro, ma poi decise per il no. “A breve magari. Ma vorrei mettermi in contatto con il DGSI e fare qualche chiamata, se non è un problema.”

“L’agente Renee!” esclamò la giovane. “Ricordo!”

Adele si accigliò. “Non solo John, ehm, l’agente Renee. Ci sono altre persone con cui ho bisogno di parlare.”

“Certo, sì, certo. Non volevo alludere a niente.”

Adele si accigliò di più e l’agente Marshall parve rendersi conto che stava avanzando su un campo minato. “Bene che sei arrivata ben attrezzata per il tempo,” disse, indicando il giaccone di Adele. “Ovviamente l’albergo è confortevole. Ti mostro la stanza, ok? Il personale è stato avvisato di non disturbarti e di evitare la tua camera. Abbiamo una chiusura temporanea sui lettori delle keycard per evitare ogni sorta di ficcanaso.”

Adele seguì la giovane agente passando accanto alla piccola cascatella in direzione di una scala in pietra e lucido legno intagliato.

Anche la sua camera era una combinazione di vetro e legno, con una magnifica veduta sulle vallate e i precipizi. I suoi occhi si soffermarono sulle montagne innevate e le foreste imbiancate mentre posava la valigia accanto a letto e tirava fuori il telefono.

Scorse la rubrica fino al numero di John, si accigliГІ un momento e decise invece di chiamare Robert.

Nessuna risposta.

Adele sbuffò impaziente e tornò al numero di John, schermando il telefono con il corpo in modo da tenerlo nascosto all’agente Marshall che stava accanto alla porta in paziente attesa. Mormorando tra sé e sé, Adele si portò il telefono all’orecchio e aspettò che John rispondesse.

Dopo qualche squillo, udì un fruscio e poi la voce dell’agente Renee in un francese forte e iracondo. “Ti ho detto di smettere di chiamarmi. Giuro che vi darò la caccia e farò crollare il vostro impero, mi hai sentito? Non me ne frega un fico secco della vostra crema idratante di merda, e chiunque abbia messo il mio nome sulla vostra rubrica di numeri da chiamare la pagherà cara!”

Poi, prima che Adele potesse dire una parola, John riagganciГІ, lasciandola ad ascoltare il silenzio. Adele inspirГІ a fondo dal naso ed espirГІ dalla bocca, contando lentamente nella propria testa.

Poi ricompose il numero e aspettò, l’impazienza che saliva a dismisura. L’agente Marshall la guardava incuriosita dalla soglia.

“Porca puttana!” iniziò a imprecare John con rabbia. “Pensi che stia scherzando, perché…”

“John, sono io,” disse Adele con tono secco in inglese. “Adele. Taci un minuto.”

Una pausa. Poi si sentì un delicato colpo di tosse e un’altra pausa di imbarazzato silenzio. Poi, con voce chiara e forzatamente calma, ora anche lui in inglese, John disse: “Adele? Che bello sentirti.”

“Lo stesso per me.” Un sorrisino iniziò a incurvarle gli angoli delle labbra, ma poi svanì rapidamente con l’aggrottarsi della fronte. “Aspetta, perché non hai il mio numero memorizzato nel tuo telefono?”

John sbuffò. “Ho solo due numeri su questo telefono. Lavoro e mia madre.”

Adele ruotò gli occhi al cielo, ma a voce alta disse: “Mere cifre. E crema idratante, eh? A che genere di servizi sei iscritto?”

“Divertente. Allora, ho sentito che ti sei beccata un altro caso da questa parte dell’oceano.”

Adele annuì, poi si rese conto che John non poteva vederla e si avvicinò alla finestra che si innalzava dal pavimento al soffitto, appannando con il fiato il vetro mentre fissava il paese delle meraviglie delle Alpi. “Tra i monti, sì,” disse. “A dire il vero è per questo che sto chiamando. C’era una seconda coppia. Svizzeri. Anche loro scomparsi.”

“Gli Hanes, sì,” disse John. “Scomparsi in Francia. Anche loro in montagna.”

Adele si schiarì la gola e inclinò leggermente la testa di lato. “Ah, allora sai già.”

“Non solo so,” disse John, parlando più lentamente ora che dialogavano in inglese. “Ci sto lavorando, con Robert.”

“Davvero? Perfetto. Volevo comunque coordinarmi con il DGSI. Pensi…”

“Beh, a dire il vero, Adele, il direttore vuole che i due casi restino separati. Non vuole mescolarsi con la situazione tedesca. Al momento stiamo trattando i due casi come scollegati.” Ci fu una leggera pausa e un tono dispiaciuto, quasi di scuse, nella sua voce.

Adele scosse la testa. “Non possiamo ancora sapere se siano connessi o meno,” disse. “Certo Foucault questo lo sa.”

Dall’altro capo Renee sospirò, soffiando così forte nel ricevitore che Adele quasi sentì fastidio all’orecchio. Sussultò, ma aspettò che il collega francese continuasse. “Lo so. Lo so. Ma c’è coinvolta la politica.” Disse �politica’ come se stesse pronunciando una parolaccia.

“Oh? Che politica?”

“Mettiamola così. Chi è il tuo babysitter?”

Adele lanciò un’occhiata furtiva alla giovane agente tedesca che si trovava sulla soglia. Si schiarì la gola e disse delicatamente: “Una vecchia conoscenza.”

“Giusto. Ma sempre BKA, eh?”

“Affermativo.”

“Ecco la politica. Tu hai gli scarponi del BKA piantati a terra, insieme alla gente del posto, e considerato il nostro caso, i francesi stanno annusando in giro, e anche l’Interpol. Anche gli italiani, mi dicono, vogliono ficcare il naso nelle indagini, vista la nazionalità delle vittime.”

Adele si grattò il mento. “Ah. Allora quali sono le probabilità di coinvolgere il DGSI?” disse, sentendo la speranza che l’abbandonava.

Un altro sbuffo da parte di John. “Fuori discussione. Il DGSI se ne sta alla larga. Foucault ha detto qualcosa tipo tanti galli e niente sole che sorge. Non ho capito. Fondamentalmente, penso mi abbia rivolto una metafora per dirmi che sono un pollo.”

Adele sospirò, passandosi la mano libera sugli occhi e spostandosi lentamente dalla grande vetrata al piccolo cucinino vicino all’ingresso. Prese un bicchiere dallo scaffale più basso e iniziò a versarsi dell’acqua, ruotando però il pomello solo di poco per evitare di fare troppo rumore.

“Ok,” disse quando John ebbe finito. “Ma la coppia svizzera: stai seguendo il caso?”

“Giusto. Io e Robert siamo in coppia. Devo dire che il tuo vecchio capo è quello che i ragazzi di una volta nella squadra avrebbero chiamato un finto addormentato.”

“Un finto addormentato?”

“Non chissà che di facciata, ma fenomenale quando inizi a bazzicarci attorno. Tipo sveglio. Strano. Mi piace.”

Adele sorrise della descrizione del suo vecchio mentore. Si figurГІ mentalmente Robert: un ometto basso e ordinato, elegante, con le basette ai lati e due denti mancanti. Era stato un padre per lei, ed era il miglior detective che conoscesse.

“Ehi, ah, merda, devo andare principessa americana. Ti mando un messaggio se ho qualcosa. A dire il vero, lascia perdere. Te lo manderà Robert.”

“Non mi dire che farai ancora a meno di salvare il mio numero,” disse Adele giocosamente.

John rise. “Forse un giorno, eh? Un’altra cosa… aspetta.” La voce di John si fece più bassa, suggerendo che si era spostato il telefono dalla guancia. Adele lo sentì chiamare in lontananza. “Arrivo subito! Non farti un nodo con quei gemelli! Aspetta!” Poi, di nuovo con voce vicina e squillante. “Devo andare. Ma, Adele, fai attenzione.”

Adele tenne sospeso il bicchiere d’acqua, fissando le costose credenze in legno del cucinino. “Come sempre. Per quale motivo in particolare?”

“Non parlo dei tuoi grizzly assassini, o qualsiasi cosa sia. Intendo il tuo babysitter, i media. La politica.” Raddoppiò l’enfasi per l’ultima parola, caricandola di astio.

“Starò attenta anche lì.” Adele bevve un sorso dal suo bicchiere, gli occhi che si rifiutavano di voltarsi verso l’agente Marshall che pazientemente aspettava accanto alla porta.

“Sì, ma dico sul serio. I piani alti vogliono evitare a tutti i costi qualsiasi contatto tra le due coppie scomparse. Capito? Parliamo di fine carriera qui, se vogliamo proprio dirla tutta. Ora, normalmente non me ne frega un cacchio di quello che vogliono quei rotti in culo, ma tu sei più il tipo che potrebbe puntare alla carriera, eh?”

“Farò attenzione. Grazie, John.”

Senza aggiungere neanche un ciao o un arrivederci, John chiuse la chiamata e Adele si trovò ancora una volta ad ascoltare il silenzio. Arricciò il naso e infilò il telefono in tasca, sorseggiando ancora l’acqua dal suo bicchiere mentre cercava di elaborare quello che le aveva appena detto.

“Ah, scusa?” la chiamò la Marshall dalla porta, riportando Adele all’inglese. La giovane agente agitò una mano in aria.

Adele si voltò a guardarla. “Scusami,” ripeté la Marshall in inglese. “Ma, ehm,” si schiarì la voce, “chi era?”

Adele inarcò un sopracciglio. “Pardon?”

La Marshall si irrigidì, imbarazzata, ma insistette, indicando la tasca di Adele. “Con chi stavi parlando… è solo che è importante che teniamo il coperchio chiuso su alcuni dettagli del caso. È molto importante, in realtà. Più importante che…” Si accigliò e si interruppe, ma scosse la testa e si irrigidì ancora, aspettando con ansia che Adele le desse una risposta.

Stava per dire più importante che risolvere il caso. Adele ne era sicura. Scosse la testa stancamente. “Solo le forze dell’ordine. Va tutto bene.” Accigliandosi, posò il bicchiere sul ripiano e si voltò del tutto verso l’agente Marshall. “Niente che dovrei sapere sul contesto del caso?”

Apparentemente sollevata, la Marshall sorrise educatamente ma con sguardo enigmatico dalla porta. “Contesto?”

Adele annuì. “Giusto. Tutti sembrano un po’ schivi al riguardo. Ti spiacerebbe spiegarmi perché?”

L’agente Marshall si morse il labbro e Adele socchiuse gli occhi. La giovane emanava una vibrazione da �innocente e priva di esperienza’, ma uno non diventava un agente del BKA senza un certo livello di scaltrezza e disciplina. Che stesse fingendo o che si trattasse semplicemente di un tratto della sua personalità, Adele non poteva dirlo, ma sarebbe stato sciocco abbassare la guardia davanti a un agente operativo appartenente a un’altra agenzia.

“Ok,” disse la Marshall schiarendosi la gola. “Non è conoscenza comune, ma uno dei motivi per cui la gente del posto vuole farlo apparire come l’attacco di un orso è per tenere gli occhi alla larga dai giornali. L’attacco di un orso? Si può dimenticare. Due coppie scomparse, però? Possibile omicidio… più difficile da scordare.”

Adele tenne lo sguardo fisso sulla Marshall, impassibile. “Perché?” chiese, semplicemente.

“Io stessa non so tutto. Ma da quello che mi hanno detto, suppongo che tu possa avere bisogno di saperlo.” Questa volta toccò alla Marshall abbassare la voce e guardarsi alle spalle. Entrò nella stanza e si chiuse dietro la porta. “C’è un altro resort, nella regione del Wettersteinspitzen. Il resort di chiama Wetter Retreat.”

“E allora?”

“E allora,” rispose la giovane, estendendo la parola più del dovuto. “Il resort verrà inaugurato domani. Capito?”

Adele sbatté le palpebre. “Un resort come questo?” Guardò ancora verso la finestra, osservando i numerosi edifici che circondavano il corpo centrale dell’hotel.

“A dire il vero, ancora più grande. E più costoso,” disse la Marshall. “Parliamo di centinaia di milioni di investimento, capisci. E se prima dell’apertura saltasse fuori che si è verificato un omicidio praticamente nel loro cortile… puoi immaginare la stampa e il disastro economico, giusto? Migliaia di posti di lavoro, turismo, infrastrutture. Tutto perso.” Scosse la testa.

Adele la fissava. Sentì un brivido freddo sul dorso delle mani mentre guardava la giovane agente. La Marshall era qui per aiutarla a risolvere il caso? O per evitare che Adele creasse guai?

Fischiò sommessamente. “Un progetto da milioni di dollari in apertura domani… Lasciami indovinare: ogni genere di politico e celebrità, eccetera… Tutta la compagnia al completo?”

“Non so cosa intendi per tutta la compagnia,” disse la Marshall. “Ma sì, ci sarà gente importante. Capito? Dobbiamo mantenere il silenzio.”

Capito? Sì, pensò Adele tra sé e sé. Stava iniziando a capire tutto molto bene. Non volevano che Adele risolvesse il caso. Volevano che lo spazzasse sotto al tappeto, che ci mettesse un coperchio sopra. O che lo risolvesse in silenzio, dietro le quinte.

“Mi pare giusto,” disse con tono netto. “Possiamo almeno parlare con la squadra di ricerca e salvataggio? Vedere la scena del crimine? Ho sentito che è successo tra i boschi: immagino sia tanto distante che non dovremmo attirare nessuna attenzione.”

La Marshall sorrise, anche se parve in parte irrigidirsi. “Sì, certo. Faccio la chiamata al capo squadra perché venga qui a parlare con noi. Ti serve qualcosa da mangiare o bere? Cibo? Posso ordinare un…”

“Sono a posto,” disse Adele interrompendola. “Vorrei vedere la scena del crimine. Hai una macchina?”

L’agente Beatrice Marshall annuì di nuovo e, senza una parola di più, si girò, spinse la porta della stanza e uscì in corridoio facendo cenno ad Adele di seguirla.




CAPITOLO SEI


Ad Adele tornГІ in mente il motivo per cui aveva scelto il lato degli Stati Uniti dalla parte di San Francisco come residenza. Certe persone semplicemente non erano fatte per il freddo.

Si tirГІ su il cappuccio in modo da coprirsi bene le orecchie e tirГІ i lacci del pesante giaccone in flanella per farlo chiudere meglio attorno alla gola. Rabbrividiva contro le piГ№ deboli folate di vento gelido e non sopportava il sommesso scricchiolio della neve sotto agli scarponi. Il sentiero era stato ben pressato poco prima e Adele ne era grata. Nonostante gli scarponi che aveva ai piedi, sospettava che arrancare nella neve per i tre chilometri necessari da dove avevano parcheggiato sarebbe stato uno sforzo accompagnato dalla disperazione, oltre che dalla morsa del gelo.

Davanti a loro, Luka Porter, il capo della squadra di volontari addetti al salvataggio montano, le guidava lungo le innevate piste da sci.

“Una nevicata fresca,” disse in tedesco, voltando la testa e indicano l’aria davanti a loro con la mano guantata.

“Vedo tracce di sci: sono fresche?” chiese Adele. Si schiarì la gola, deglutendo un paio di volte e scoprendosi non solo le labbra screpolate, ma anche la gola secca.

Il Golden State le mancava. Borbottando interiormente, ma rifiutandosi di comunicare alcuna debolezza ai colleghi tedeschi, Adele seguì Luka in mezzo agli alberi fino alla fine del sentiero pressato.

L’uomo indicò con una mano la rada boscaglia. “Li abbiamo trovati lì,” disse sottovoce. Un tono cupo impregnava le sue parole. “Fatti a pezzi, davvero un lavoro orribile. Un sacco di sangue,” aggiunse. “Probabilmente sono rimasti vivi per buona parte di quel macello.” Sussultò, il volto pallido.

Adele annuì, scrutando gli alberi. Oltre alle deboli tracce di sci, che ipotizzava appartenere alla squadra di ricerca e salvataggio, c’era ben poco in materia di prove fisiche. Niente impronte digitali ritrovare, secondo il rapporto, e i corpi erano stati recuperati da tempo, o almeno ciò che ne era rimasto.

“Qual è la vostra teoria?” chiese, respirando lentamente e permettendo al proprio fiato vaporoso di salire verso gli aghi di pino che facevano da riparo al terreno, formando figure sparpagliate per mezzo delle ombre disegnate dal sole.

Luka si grattò un orecchio sotto al berretto termico. “Molto probabilmente un orso bruno,” disse. “Erano spariti da decenni dalle Alpi, ma un paio di anni fa ci sono stati degli avvistamenti.  Siamo solo,” si guardò alle spalle e poi mise gli occhi sullo smartwatch che aveva al polso, “a circa tre chilometri dal resort dove alloggiavano.”

“Lo stesso dove alloggi tu,” disse l’agente Marshall, al fianco di Adele.

Adele annuì per farle intendere che aveva sentito, ma mantenne il silenzio, permettendo a Luka di andare avanti a parlare.

“Non ho visto impronte di orso,” aggiunse. “Ma la neve è caduta e ha cancellato parecchie tracce.” Scrollò le spalle. “Un peccato, davvero. Non sono realmente sicuro di cosa ci facessero quei due in questo bosco. La mia ipotesi: il signore e la signora Beneveti stavano facendo il loro giro di sci alpinismo, l’orso li ha beccati e inseguiti. Loro hanno deviato dalla pista principale e hanno cercato di nascondersi tra gli alberi.” Scosse la testa. “Non è finita bene.”

“No,” disse Adele. “Mi sa di no. Quindi pensi che sia stato un orso?”

Luka fece una pausa, si accigliò e si voltò a guardarla. “Tu stai dicendo di no?”

L’agente Marshall si schiarì la gola e si inserì frettolosamente tra Adele e Luka. Si strofinò le mani guantate tra loro e ci alitò sopra come a volerle scaldare. “Non possiamo discutere i dettagli dell’indagine, mi spiace,” disse. “C’è altro che avete trovato? Che avete visto?”

Luka socchiuse gli occhi concentrandosi per pensare, ma poi disse: “No, niente. Anche se ho sentito che era gente ricca, potente. Peccato che gli sia successa �sta cosa. Serve proprio a mostrare che i soldi non comprano tutto, mi sa.”

“Grazie,” disse Adele con tono educato. Poi attraversò la scena del crimine, lentamente e delicatamente, gli occhi sollevati rispetto al terreno. Il suolo ricoperto di neve forniva poco in termini di prove fisiche. Le foto della scena del crimine che aveva studiato sull’aereo erano più vicine al momento dell’aggressione, con meno precipitazioni nevose fresche. Ma gli alberi… gli alberi erano ancora esposti, visibili.

Non c’erano tagli o graffi sui tronchi, né vicino ai piccoli rametti alla base degli abeti. Adele non era molto esperta di orsi, ma sapeva che era strano che gli alberi stessi fossero rimasti intatti dopo l’incursione di due tonnellate di muscoli e pelo, ipoteticamente scagliati là sotto all’inseguimento dei due sciatori in fuga.

No. Le foto della scena del crimine suggerivano un’accetta, o una piccozza. Arrugginita, forse, non affilata. Ma un attacco umano, decisamente umano. Chiunque fosse l’assassino, però, doveva sapere bene come muoversi nella zona. Il percorso di sci alpinismo era conosciuto, ma non ovvio. Chiunque avesse ucciso i Beneveti, li aveva aspettati, osservati.

Ora toccava ad Adele scoprire perchГ©.

“Vedi niente?” chiese l’agente Marshall.

Adele si guardò alle spalle e le rispose scuotendo leggermente la testa. “Niente di nuovo. Quando hai detto che aprirà il nuovo resort?”

“Domani,” disse la Marshall con tono netto, gli occhi che sfrecciavano a Luka e poi di nuovo ad Adele.

“Milionari, politici e un omicidio,” disse Adele con un sorriso privo di umorismo. “Sembra l’inizio di un film.”

E dopo un’ultima occhiata agli alberi e al suolo innevato, Adele e i due tedeschi si voltarono e iniziarono la loro camminata per tornare in direzione del resort. Adele poteva solo sperare che in qualche modo il caso di John e Robert stesse procedendo meglio in Francia. Sperava che la coppia svizzera non avesse incontrato lo stesso orribile destino dei Beneveti.




CAPITOLO SETTE


“Secondo cancello fino ad ora,” mormorò John in francese. “A cosa fanno la guardia qua dentro, hein? A una catasta d’oro?” Scrutò accigliato attraverso il parabrezza leggermente oscurato mentre i cancelli automatici si aprivano davanti al veicolo del DGSI e il suo collega conduceva l’auto lungo il vialetto.

“È un resort molto esclusivo,” disse Robert con pazienza. “Prendono sul serio la loro sicurezza.”

John lanciò un’occhiata all’uomo, molto più basso di lui, e inarcò un sopracciglio. “Amici tuoi?”

Robert guidГІ il veicolo lungo il silenzioso viale verso il resort che si vedeva in lontananza. Il complesso era impressionante per le sue dimensioni. Poche altre nazioni potevano competere con tutti quegli ettari di piste da sci e impianti di risalita, per non parlare dei villaggi collegati dalle funivie che scorrevano sospese in aria, o dai sentieri di sci alpinismo che erano disseminati per le montagne.

Da ogni parte il viale che ora stavano percorrendo era costeggiato da decorazioni, incluse sculture e pittoreschi gazebi in legno e vetro sotto ad antichi e torreggianti alberi. Un paio di guardie – con le armi di ordinanza nascoste alla vista – sorrisero educatamente da sotto i loro berretti blu e fecero un cenno di saluto mentre l’auto passava oltre. Uno dei due si soffermò più a lungo con lo sguardo sul veicolo del DGSI. Probabilmente erano mesi che non vedeva una normale berlina, ma solo le appariscenti coupé dei turisti ospiti.

“Bonjour!” esclamò il soldato, portandosi una mano al berretto. Addirittura la guardia stava sorseggiando una tazza di vin brulè, e sembrò infilare velocemente una sigaretta in un posacenere vicino quando li vide avvicinarsi.

John poteva riconoscere un militare dell’esercito a un miglio di distanza. E le ultime sei guardie che avevano incontrato avevano tutte quell’aspetto. La sorveglianza privata costituita da ex-militari non era economica. Ma del resto, niente all’interno di questo resort sembrava esserlo.

Robert si schiarì la gola. “Non tutti quelli che hanno i mezzi sono simili tra loro,” disse.

“I mezzi? Intendi che sono ricchi sfondati, oui?”

Robert si accigliò un poco, le mani che stringevano il volante nella perfetta posizione delle dieci e dieci, gli occhi doverosamente incollati alla strada davanti a sé. Aveva i capelli pettinati all’indietro e quando parlava, di tanti in tanto John scorgeva i due denti mancanti tra gli incisivi dell’uomo.

Non era ancora sicurissimo di come inquadrare quell’ometto. La ex collega di Robert, Adele, lo adorava davvero, e quell’investigatore era effettivamente un po’ una leggenda nel DGSI, ma per metà del tempo John trovava impossibile capire cosa pensasse l’anziano francese.

“Dove parcheggiamo?” gli chiese, mentre uscivano da una rotonda e si infilavano in mezzo a dei vecchi pilastri di pietra che si innalzavano di fronte a quattro ampie vetrate scorrevoli in cima a una scala di marmo leggermente incurvata.

“Non parcheggiamo,” disse Robert cerimoniosamente.

Si tirò via i guanti da guida e spense il motore. Poi si infilò con grazia un paio di muffole di lana che aveva sul sedile posteriore. John guardò l’intera scena con sguardo divertito.

“Bei guantini,” disse.

“Grazie. E grazie.” Il secondo grazie era rivolto all’inserviente che era accorso e aveva aperto la portiera di Robert.

“Signor Henry!” esclamò l’uomo. “Che bello vederla!”

Robert si rifiutò di guardare John mentre rispondeva al saluto e usciva rigidamente dal veicolo, porgendo le chiavi all’inserviente. Il giovane con berretto rosso e divisa cremisi sorrise educatamente a John mentre un secondo aiutante si affrettava ad aprire la portiera dal lato dell’alto agente del DGSI.

John si grattò la cicatrice sotto al meno, poi con un certo disagio uscì dal veicolo.

Robert si sistemò le maniche. Aveva insistito per indossare un completo con caban per stare caldo. John invece portava due felpe, una sopra all’altra. Robert si era offerto per ben due volte di comprargli una giacca mentre viaggiavano verso le Alpi, ma John aveva rifiutato. Per lo più, anche se non gliel’aveva detto, per il divertimento che provava nel vederlo a disagio ogni volta che l’uomo scorgeva il bordo consumato di una delle sue felpe che sbucava da sotto l’altra.

“Bagagli?” chiese l’inserviente che aveva aperto la portiera di John.

L’alto agente francese sbuffò, allungando le gambe nell’uscire dall’auto. “Il vecchio ha qualcosa, io no.”

Il giovane guardò John in modo strano, ma annuì per mostrare che aveva capito, poi corse verso il baule dell’auto e afferrò le tre diverse valigie di Robert.

John guardò con pungente umorismo l’inserviente che portava le valigie su per le scale in marmo facendo un gradino alla volta. Non era certo di cosa servisse così disperatamente a Robert da rendergli necessario l’utilizzo di tre valigie. John era relativamente sicuro di non aver mai fatto una sola valigia in vita sua. Si sarebbero fermati lì solo qualche giorno: quello che non sarebbe riuscito a comprare in un negozio di souvenir, l’avrebbe probabilmente trovato al banco degli oggetti smarriti. Tutti gli hotel eleganti ne avevano uno.

Lanciò un’occhiata alle porte scorrevoli con un’espressione severamente sospetta mentre Robert risaliva con le gambe rigide i gradini di marmo e aspettava che l’inserviente – che ancora stava portando la sua ultima valigia – si fermasse, posasse il bagaglio a terra e aprisse la porta con un sorriso, per poi entrare nell’atrio del resort.

Per un momento, al freddo, Robert si fermò, fece una smorfia e tossì.

“Tutto bene?” gli chiese John.

Ma Robert si limitò a fare un gesto di noncuranza con la mano ed entrò nell’hotel.

John lo seguì, infilandosi le mani nelle tasche della felpa e salendo a grandi passi i gradini di marmo. Da entrambi i lati si ergevano delle torrette che facevano da contorno all’edificio di pietra, vetro e legno. Addirittura John, che non aveva mai sviluppato alcun gusto per le cose belle, si fermò ad ammirare i dettagli architettonici. Notò anche tre finestre blu, che sarebbero state perfette come punto di vedetta per un cecchino.

Informazioni utile, date le circostanze? Forse no. Ma John non poteva tanto permettersi di mettere da parte il proprio istinto. Gli era tornato utile in ben più di un’occasione.

“Dobbiamo parlare con il direttore,” disse Robert sottovoce, mentre John lo raggiungeva nel lussuoso atrio. Marmo, vetro, luci ornamentali e piante e opere d’arte disposte con gusto rendevano l’ingresso del resort davvero impressionante.

John sbuffò. “Dov’è il direttore?” chiese all’inserviente che ora stava sistemando le tre valigie di Robert su un carrello.

“Ah, excusezmoi?” chiese il giovane con tono esitante. “Il direttor Pires è probabilmente indisposto al momento. Ma sono sicuro che ci sono degli impiegati che saranno più che felici di…”

“Di certo c’è un modo per farti cambiare idea, hmm?” chiese Robert con voce melliflua. Allungò un braccio e John notò una banconota da cento euro nascosta nella mano chiusa dell’anziano investigatore.

L’inserviente si schiarì la gola, guardò la banconota e i suoi occhi scattarono verso il basso bancone di marmo che costeggiava la parete opposta dell’atrio. “Non… non penso di poterlo fare,” iniziò con esitazione.

“Su,” lo incalzò Robert. “Sono certo che possiamo raggiungere un accordo, monsieur.”

Il giovane sembrava ancora riluttante. La pazienza di John a quel punto si era già quasi del tutto esaurita. Mentre Robert tentava una terza volta con sommessi e dolci mormorii, John si girò, si rivolse verso lo spazio dell’atrio e al massimo della voce gridò: “DGSI! Siamo qui per parlare con il direttore. Adesso!”

L’inserviente fece un salto e parve voler sprofondare e scomparire nel pavimento. Robert sospirò rassegnato guardando il collega, ma si mise con riluttanza i soldi in tasca e incrociò le braccia sulla giacca ordinata del suo completo.

“Ebbene?” gridò ancora John, questa volta con tono ancora più alto. “Il direttore?”

“Sono sicuro che se siamo pazienti e aspettiamo…” tentò di dire Robert, ma prima che potesse finire la frase, ci fu un rapido movimento attraverso una porta dietro a lungo bancone. Qualche cliente e un paio di impiegati stavano guardando in direzione di John, facendo però finta che non fosse successo niente.

Dalla porta apparve una donna con un’impeccabile uniforme rossa e camminò con passo rapido verso il punto in cui si trovavano i due agenti. Osservò Robert, con il suo completo perfetto e i capelli ben pettinati, e poi il suo sguardo passò a John e alle sue due felpe che ne accentuavano l’aspetto trasandato. Vedendolo, i suoi occhi si spostarono lungo l’atrio, verso due guardie addette alla sicurezza che si trovavano accanto alla porta. Esitò, ma poi si rivolse ai due agenti del DGSI.

“Salve,” disse, premendo le labbra tra loro. “Posso aiutarvi? Sono Maria, l’assistente del direttor Pires. Temo che lui non sia disponibile al momento. Come vi posso assistere?”

“Mi scusi, mademoiselle,” disse Robert, avanzando e prendendo con delicatezza la mano di Maria. Gliela strinse e fece un leggero cenno del capo in segno di saluto. “Abbiamo necessità di alcune informazioni. Se lei fosse così gentile da concederci un po’ del suo tempo, gliene saremmo eternamente grati.”

John osservГІ lo strano scambio, avvertendo uno fastidioso prurito in prossimitГ  del colletto. Una volta qualcuno gli aveva detto che aveva una faccia da pitbull pigro quando era impaziente. La persona che aveva osato tale osservazione era finita in ospedale con il naso rotto e un occhio nero. Ma in quel momento John si morse la lingua e aspettГІ che Robert finisse a modo suo.

L’assistente al direttore parve stupita, addirittura lusingata dal modo di porsi di Robert. Quando però ebbe inquadrato il ricco investigatore, sembrò quasi essere finalmente a proprio agio, e anche parte della preoccupazione e mancanza di fiducia nei confronti di John parvero dissiparsi.

“Avete detto che siete del DGSI?” chiese con tono cortese, allungando il braccio e permettendo a Robert di accompagnarla verso il bancone.

“Sì, cara,” le rispose lui. “Una questione decisamente delicata.”

John rimase al suo posto, dimenticato da tutti, mentre i due procedevano sottobraccio verso il fondo dell’atrio. Il pavimento lucido e lussuoso brillava per effetto delle eleganti luci che lo inondavano dal soffitto.

“Sì,” disse la donna, sommessamente, gli occhi che si posavano su un paio di clienti che stavano effettuando il check-in alla reception. Le loro numerose borse e valigie erano sistemate su un carrello ora spinto da un altro inserviente in uniforme cremisi. Le valigie di Robert li stavano attendendo accanto all’ascensore, con l’inserviente loro dedicato che attendeva pazientemente in piedi con le braccia conserte.

John sollevò la borsa del suo portatile – dove aveva infilato una camicia e un cambio di boxer – e seguì con passi pesanti il collega. Chiunque si voltasse a guardarlo, si beccava un’occhiata torva da parte sua. Riuscì a raggiungere Robert e la donna con due ampie falcate.

Arrivarono al bancone insieme, e John sentì Robert che completava la frase con: “… magari in un posto più privato?”

Maria appoggiò un braccio sul bancone e lanciò un’occhiata significativa all’uomo che stava al computer, nascosto dietro al divisorio in marmo. L’impiegato fece un cenno di saluto con il capo, poi si allontanò velocemente, portandosi dall’altra parte della lunga parete divisoria.

Dal canto suo, Maria abbassò la voce e disse sommessamente: “Il signore e la signora Hanes venivano qui da sempre, per quanto ricordo. Una volta all’anno.”

“Ah,” disse Robert. “Ma lei è così giovane! Non può essere poi da chissà quanto tempo, no?”

Maria si fece sfuggire una risatina e John si sentì rivoltare lo stomaco. “Lavoro qui da quasi quindici anni,” disse la donna. “Ho iniziato come cameriera e mi sono fatta strada. Serviamo solo la clientela più prestigiosa. Come sono sicura lei saprà.”

Robert sorrise e le diede un colpetto sulla spalla, guardandola fisso negli occhi con la sua espressione accomodante. “Sì, sì,” disse, “molto impressionante. Le auguro il meglio nel suo duro lavoro. Quindici anni sono un impegno eccellente. Spero che ricompensino come si deve la sua lealtà.”

Maria esitò e arricciò il naso. Ma poi tossì e si lisciò la divisa con la mano libera. “Non ho di che lamentarmi. La coppia svizzera, però… è per questo che siete qui, vero?”

Robert annuì, gli occhi fissi su Maria come se non ci fosse nessun altro nella stanza. Ogni suo cenno del capo o sorriso, ogni singolo gesto rispondevano alle parole o alla postura di Maria, specchiando l’entusiasmo della donna, o il suo interesse, la curiosità, tutto in rapida sincronia. Per John era come assistere a una partita a scacchi fatta di linguaggio corporeo, con l’assistente al direttore che non si rendeva neanche conto di esserne parte.

Ma John sapeva, nonostante il poco tempo passato con Robert, che l’anziano investigatore non era un manipolatore. Sapeva come reagire, come rispondere, ma parlava anche sempre sul serio: aveva una fastidiosa dedizione nel dimostrare cura per tutti coloro con cui interagiva.

“Pezzi grossi del petrolio,” stava dicendo Maria sottovoce. “Però,” continuò accigliandosi, “non so se avrei dovuto dirlo.”

“No… non si preoccupi. Sta parlando onestamente. Si capisce che lei è una persona onesta, oui,” disse Robert, annuendo. “Lo si legge negli occhi, sì. E la loro stanza? Dove stavano?”

Maria si schiarì la gola. “Avevano il loro chalet in prenotazione permanente. Da quindici anni ormai, forse di più. La squadra di ricerca e salvataggio li ha cercati, ma non ha trovato nulla.”

“E quando sono arrivati il signore e la signora Hanes in questo adorabile complesso che lei dirige meravigliosamente bene?”

Maria aggrottò la fronte pensierosa, ma poi annuì di nuovo. “Ricordo tutti i nostri clienti. Fanno parte della famiglia. Il signore e la signora Hanes sono arrivati prima della prima nevicata. Sono scomparsi quattro giorni fa.”

John prese la parola per la prima volta, e la sua presenza, seguita da uno sbuffo, parve spezzare una specie di incantesimo. Sia Robert che Maria si voltarono a guardarlo, socchiudendo leggermente gli occhi. “Prima della nevicata,” disse. “Significa che i corpi potrebbero essere coperti dalla neve.”

Gli occhi di Robert si dilatarono quasi impercettibilmente in segno di allarme. Maria sussultò guardando John, pallida in volto. “I corpi?” disse. “Lei pensa che siano… che siano…” Deglutì.

“Morti?” offrì John in aiuto. “Probabile. Sono spariti da un pezzo.” Guardò verso Robert, che si era passato una mano sul viso e si stava massaggiando l’attaccatura del naso tra gli occhi, come se gli fosse venuto un improvviso mal di testa.

“Può anche benissimo darsi che stiano bene,” si premurò ad aggiungere l’anziano investigatore, dando un colpetto sul braccio a Maria. Poi abbassò la mano e si voltò verso il collega.

John sbuffò. “Probabilmente no. Probabilmente sono morti. Però dovremmo andare a dare un’occhiata. Presto.”

“Posso… posso dirvi qual è la pista che percorrevano di solito,” disse Maria, sforzandosi chiaramente di trattenere un singhiozzo. “Come ho detto, erano come parte della famiglia per noi tutti qui.”

John scrollò le spalle. “Probabilmente sono stati attirati in un posto appartato. Chiunque li abbia presi, di certo non voleva che si trovassero su terreno per loro noto al momento di colpire. Cosa c’è?” chiese a Robert, che ora lo stava guardando in cagnesco.

Con tono preciso e rassegnato, Robert gli rispose: “Non sappiamo per certo se sono morti. Né conosciamo il contesto della loro disgraziata scomparsa. Tutte queste sono solo delle congetture.”

John lo fissò. “Congetture? Non so cosa significhi questa parola.”

Robert sospirò e sorrise un’ultima volta a Maria, prima di congedarsi e spostarsi poi verso l’ascensore. Mentre si avvicinavano alle valigie di Robert e all’inserviente che li stava aspettando, l’anziano investigatore mormorò sottovoce: “Non hai una giacca? Qualcosa che non siano quelle felpe unte e sporche?”

John tenne gli occhi dritti davanti a sé. “Non tutti impacchettano tre armadi per un paio di giorni in mezzo alla neve.”

“Oh? In un posto come questo, amico mio, potrebbe venirti voglia di stare più attento all’aspetto. Conta più del carattere tra questi corridoi.”

John si fermò e si voltò verso Robert, fissandolo dritto in viso. “Sono consapevole dell’aspetto che mostro,” disse sommessamente. “Non tutte le api si prendono con il miele, ok?” Poi si girò di nuovo e andò a grandi passi verso l’ascensore.

Dovevano disfare i bagagli, prendere la loro stanza e poi andare alla ricerca del signore e della signora Hanes. La squadra di ricerca e salvataggio stava trattando la faccenda come un caso di scomparsa, come se i due fossero andati a camminare e fossero caduti in un precipizio. Ma John ne sapeva più di loro. C’era un assassino allo sbaraglio, e per trovare la coppia svizzera, doveva pensare alla cosa come se si trattasse di un omicidio.




CAPITOLO OTTO


Adele sentì bussare alla porta. Sollevò un dito, poi si rese conto che la persona dall’altra parte della soglia non poteva vederla. “Un momento,” esclamò.

Ritornò al suo computer e gli occhi passarono poi all’agente Marshall che stava seduta dall’altra parte del tavolo di legno rotondo. Adele inspirò profondamente, raccogliendo i pensieri. “Quindi mi stai dicendo che i Beneveti si occupavano intensamente di attività collegate all’estrazione del petrolio,” disse.

L’agente Marshall annuì e i suoi capelli corti brillarono alla luce che filtrava dalla finestra e le disegnava una strana figura sulla testa, come una sorta di macchia sulla sua fronte.

“Cosa ci facevano questi due quassù? Pensi fossero coinvolti nell’apertura del nuovo resort?”

L’agente Marshall scosse la testa. “Non lo so. Questa informazione è protetta. Anche per noi. Dove ci sono in ballo i soldi, entra in gioco anche il potere.”

Qualcuno bussò ancora alla porta, educatamente ma questa volta un po’ più forte.

“Quasi finito,” disse Adele.  Riportò l’attenzione sull’agente tedesca. “Pezzo grosso italiano dell’industria del petrolio sparisce nelle Alpi. Ecco un titolo per te.”

L’agente Marshall le sorrise educatamente, le braccia incrociate davanti a sé. Ma trattenne la lingua. Adele la scrutò, cercando di decifrare la sua espressione. La Marshall era qui per aiutarla nel caso, o doveva solo evitare che Adele si immischiasse troppo?

Prima che la persona alla porta potesse bussare una terza volta, Adele chiamò: “Avanti, prego.”

La serratura emise un click e la porta si aprì leggermente. Un uomo con un’uniforme da inserviente si fermò a disagio sulla soglia.

“Salve?” disse Adele con tono curioso.

“Sì,” disse l’uomo con voce esitante. Fece un passo strascicato entrando nella stanza, ma poi parve ripensarci e si ritirò con la medesima rapidità. Rimase ad aspettare incerto sulla soglia, spostando lo sguardo da Adele all’agente Marshall.

Adele voltò il proprio sguardo interrogativo verso la giovane collega. La Marshall però si alzò in piedi e fece segno all’uomo. “Grazie per essere venuto, Otto.” La Marshall lanciò poi un’occhiata ad Adele. “Avevi detto che volevi parlare con alcuni dei dipendenti riguardo ai Beneveti.”

Adele inarcГІ le sopracciglia, indicando che aveva capito.

“Questo è Otto Klein,” disse la Marshall. “Lavora al resort da quasi cinque anni. Interagiva spesso con il signore e la signora Beneveti.”

Con espressione ora più morbida, Adele si voltò a guardare l’uomo. “Lei è un inserviente?”

Otto annuì e si schiarì la gola. “Sì,” disse in preciso tedesco.

“E la coppia scomparsa, li conosceva?”

Il signor Klein era ancora sulla porta, ma a un gesto di Adele entrò riluttante e si avvicinò al tavolo. La porta alle sue spalle era ancora aperta, e Adele sapeva per esperienza che le persone che venivano a trovarsi in una situazione da �combatti o scappa’ tentavano spesso di organizzare un punto di fuga il più rapido possibile. Quelli che preferivano la fuga, non chiudevano mai la porta. Quelli che preferivano lo scontro, sì.

Esaminò l’inserviente dalla sua sedia. L’uomo non si sedette e la guardò con espressione nervosa. Era di bell’aspetto, come la maggior parte dei dipendenti lì al resort. Adele sapeva che un elemento in comune tra il suo caso e quello che stavano gestendo John e Robert era il livello della clientela. La maggior parte degli ospiti in questo resort erano straordinariamente abbienti. In effetti dubitava che qualcuno di estraneo al club dei miliardari potesse permettersi di soggiornare in un posto come quello.

Sentì una folata di profumo di colonia provenire da Otto: un aroma fragrante e floreale, mescolato con l’odore di auto nuova. Le venne in mente un pensiero improvviso: ricordò vagamente la sua infanzia. I ricordi affiorarono, per un brevissimo momento, come un rapido sussurro. Immaginò se stessa, suo padre, sua madre. Prima del divorzio. Vide le colline innevate, le scivolate giù dai pendii. Ricordò la cioccolata calda vicino al fuoco e le battaglie a palle di neve tra loro, mentre correvano dalla vasca esterna calda a quella interna. Sorrise debolmente, ma poi il suo sorriso svanì mentre altri ricordi le sopraggiungevano. Ricordi di litigi, di rabbia.

ArricciГІ il naso e cacciГІ via le emozioni, mettendo da parte i pensieri.

Fissò il suo sguardo su Otto. “Cosa pensava del signore e della signora Beneveti?”

Otto esitò. L’inserviente si grattò il mento e si sistemò la sottile fibbia che penzolava dal cappello che aveva sulla testa.

“Erano dei clienti eccellenti, e davano delle ottime mance,” disse.

Adele socchiuse gli occhi. Clienti. Mance. Entrambi commenti che riguardavano la situazione finanziaria degli ospiti. Frutti penzolanti dai rami piГ№ bassi. Ma anche dettagli rivelatori.

“La coppia italiana le piaceva?”

“Come ho detto,” disse Otto con esitazione, “erano generosi. Davano delle buonissime mance.”

“Sì, ma le piacevano? Se non avessero dato delle buone mance, si sarebbe bevuto una birra con il signor Beneveti?”

Otto fece una pausa. “Non penso che il signor Beneveti bevesse. Non che io sappia. Non stavano mai ai bar.”

“Ai bar? Il resort ha più bar? Plurale?”

“Sì,” disse Otto, sempre esitante. “Ce ne sono quattro. E un paio delle stanze più costose hanno il loro.”

Adele cercò di non lasciar trasparire la sua sorpresa. Forse le sarebbe stato necessario rivalutare il lusso e lo sfarzo di quella struttura. “Va bene. Ma il signor Beneveti, partiamo da lui. Cosa ne pensava di lui? Mance a parte.”

Otto alzò le mani sulla difensiva e dondolò all’indietro sui talloni, come a volersi spostare verso la porta, ma poi si ricompose e rimase fermo. “Non lo conoscevo bene,” disse.

“Non le piaceva, giusto?”

Gli occhi dell’agente Marshall sfrecciarono su Adele, la fronte leggermente corrugata. Ma Adele mantenne lo sguardo fisso su Otto.

L’inserviente si grattò ancora il lato del mento, risistemando un’altra volta la fibbia del cappello.

“Ho avuto un paio di interazioni con il signor Beneveti,” disse il signor Klein con attenzione, “che non sono state esattamente piacevoli.”

Adele annuì. “Lei è un uomo molto cortese, Otto. Rispetto il fatto che lei stia facendo il suo lavoro anche ora. Ma questa è un’indagine. Un’indagine per omicidio.”

A quelle parole, per la prima volta l’atteggiamento di Otto mutò. Silenzioso, nervoso, esitante: la maschera si dissolse e venne sostituita da orrore e paura. La fissò. “Omicidio? Pensavo si fosse trattato dell’attacco di un orso.”

Adele socchiuse gli occhi. “Lo dicono le notizie locali, giusto?”

Otto annuì. “Anche i proprietari del resort. I direttori. Tutti lo stanno dicendo.”

Adele scosse la testa. “Nein. Non sono ancora convinta. Non abbiamo ricevuto il rapporto del medico legale.”

Otto annuì. “Oh Gott! È terribile. Nessuno si merita una cosa così, neanche…”

“Neanche?” chiese Adele, afferrando al volo la sua allusione.

Il signor Klein arrossì leggermente, le guance che assumevano un colore simile a quello della sua uniforme. Ma alla fine tossì e disse: “Il signor Beneveti poteva essere maleducato, a volte arrogante. Una volta ha lanciato un bicchiere contro un mio amico. Ha detto che era imbevibile, che era un deterrente contro le sbornie. Ha infradiciato il cameriere di vodka e tonic. Il ragazzo aveva semplicemente preso male l’ordine. L’aveva portato nella stanza sbagliata. Ha ricevuto un richiamo. Il signor Beneveti è andato dal direttore e ha tentato di farlo licenziare.”

“È stato licenziato?”

Otto scosse la testa. “No, ma gli hanno cambiato i turni. Gli hanno tagliato il monte ore in modo che non potesse interagire con loro. Gli è costato l’affitto per un paio di mesi. Noi altri lo abbiamo aiutato meglio che potevamo. Il signor Beneveti aveva un caratteraccio. Aveva soldi, un sacco. E lo sapeva.”

Otto fece silenzio, rendendosi conto di aver forse parlato più di quanto avrebbe voluto. Scrollò le spalle imbarazzato, le guance che arrossivano di nuovo. “Ma come ho detto, erano generosi.”

Adele inclinò la testa di lato, congiungendo le dita delle mani sotto al mento mentre osservava l’inserviente. “Nient’altro? Qualche altra interazione? Qualcun altro che potrebbe avere del rancore nei confronti della coppia italiana?”

Otto scosse rapidamente la testa. “Io non nutro nessun rancore. Come ho detto, non ho niente di personale contro di lui. Era maleducato e insopportabile. Poteva essere un po’ dispotico, il signor Beneveti. Protettivo. Ma un sacco di clienti qui sono fatti così. Sono abbienti, e con i soldi vengono le paranoie. Non sanno mai cosa la gente voglia effettivamente da loro. È un peccato se ci si pensa.” Otto annuì con certezza, come a tentare di convincere se stesso, poi abbassò nuovamente la testa, con minore sicurezza, e si grattò il lato del viso.

“Va bene,” disse Adele. “Non c’è nient’altro che le viene in mente?”

Otto scosse la testa. “No, ma,” disse esitando, “quel cameriere, quello che gli aveva portato la vodka col tonic. Lui potrebbe sapere qualcosa di più. È solo un ragazzino, ha diciannove anni. Ma fa ancora parte del personale.”

“È qui adesso?” chiese Adele.

“Sì, devo andare a chiamarlo?”

Adele scosse la testa. “No, vado a parlarci io. Dove si trova? Non vogliamo rubarle altro tempo, so che ha i suoi orari precisi.”

“Va bene. Si chiama Joseph Meissner.”

“Joseph Meissner?” chiese Beatrice Marshall.

“Sì, lavora in uno dei bar adesso. Si chiama Tregua tra le Rupi. Dopo il corso interno di golf.”

“C’è un corso interno di golf?” chiese Adele con tono piatto.

“Vicino alla piscina riscaldata,” disse Otto con un sorrisino. “Benvenuta all’uno per cento.”

Le guardГІ tutte e due con sorriso professionale e allenato, poi andГІ con esitazione verso la porta e scomparve, lasciando le due agenti di nuovo sole nella stanza.

Adele scambiò un’occhiata con l’agente Marshall. “Hai sentito?” chiese sottovoce.

“Ho sentito un sacco di cose,” disse lei. “A cosa ti riferisci in particolare?”

“La storia dell’attacco dell’orso. I proprietari la ripetono. I direttori. Come se preferissero che tra le piste ci fosse un orso scatenato, piuttosto che un assassino.”

La Marshall fischiò. “Avrebbe senso. I clienti qui pagano bene. Molto bene. I proprietari di certo non vorrebbero spaventarli.”

Adele si rimise in piedi, chiudendo il suo portatile e dirigendosi verso la porta. Strada facendo, afferrГІ la giacca.

“Sai dove si trova il Tregua tra le Rupi?” le chiese.

“Onestamente, un drink ci starebbe proprio bene adesso.”

“Si, ma dobbiamo parlare con questo Joseph Meissner. Pare che possa aver covato del rancore nei confronti dei Beneveti.”

“Non pensi davvero che un garzoncello li abbia ammazzati, vero? Neanche sappiamo ancora se sia stato davvero un omicidio. Non è ancora arrivato il rapporto del medico legale.”

Adele scrollò le spalle. Non lo disse, ma dentro di sé sapeva benissimo che lo era. Come un segugio che sente la traccia di un odore, lei lo sapeva. “Va bene,” disse. “Pensi che ci sia qualcuno che può portarci al bar?”

Anche la Marshall prese la sua giacca, infilandosela mentre seguiva Adele. “Ci sono golf cart che si spostano ovunque qui. Le chiavi sono giù al bancone.”

Adele resistette all’impulso di ruotare gli occhi al cielo. Golf cart a richiesta. Piscine private riscaldate accanto a campi da golf indoor. Bar privati nelle stanze. Le sembrava tutto stupefacente. Ma allo stesso tempo era anche così alieno e strano. Un modo estraneo di vivere. Però lei stessa aveva i suoi ricordi sulle piste da sci. Non erano mai venuti in un posto così bello. La sua famiglia non se l’era mai potuto permettere. Ma Adele ricordava le piste. Le belle conversazioni vicino al fuoco. I litigi di notte. Ricordava tutto.




CAPITOLO NOVE


Il Tregua tra le Rupi si trovava proprio al limitare del resort. Era un edificio a tre piani fatto di vetro e piattaforme circolari in legno. Sembrava innalzarsi su dei trampoli, ergendosi tanto da andare a sfiorare le cime degli alberi circostanti, e presentando una veduta incredibile sulla vallata sottostante. Adele e l’agente Marshall uscirono dal golf cart che avevano preso in prestito e si avvicinarono ai gradini in legno, che erano impreziositi da piccoli frammenti di pietre luccicanti che riflettevano la luce proveniente dall’alto.

Adele teneva le mani nelle tasche del giaccone e aveva il naso arrossato dal freddo, ma non potГ© comunque ignorare la bellezza dello scenario che circondava il bar sopraelevato.

Le montagne come sfondo, una vallata in primo piano, vetrate tutt’attorno a mostrare la meraviglia della natura. Adele salì i gradini con l’agente Marshall al seguito.

Aprì la porta del locale e si trovò davanti alcuni tavoli già occupati da dei clienti. A uno di essi era addirittura riunita una famiglia. I bambini stavano sorseggiando delle coca cole, mentre i genitori si gustavano due bicchieri di vino.

I tavoli stessi erano affascinanti. Erano fatti di vetro, con piccole pietre, levigate o lucidate, incastonate nella resina. Delle lampadine singole erano sistemate all’interno di alloggiamenti concavi nel soffitto, e illuminavano l’ambiente creando disegni luccicanti sui tavoli. Il soffitto era scuro, e con i colori riflessi assomigliava al cielo della notte. Dei lucernai lasciavano intendere che nelle notti più buie ma prive di nuvole, i visitatori potessero godersi la magnifica vista del cielo.

Per ora era ancora tardo pomeriggio e la notte non era ancora calata.

Adele si avvicinò al bancone con l’agente Marshall dietro di lei. Si sentiva un po’ fuori posto mentre si faceva strada verso il bancone e vi si appoggiava. “Mi scusi, sto cercando Joseph Meissner.”

La donna dietro al banco si voltò a guardarla, poi mise un bicchiere di fronte a un uomo robusto con un giaccone marrone. Sorrise all’uomo e scambiò con lui qualche chiacchiera prima di avvicinarsi ad Adele e all’agente Marshall. “Joseph è fuori,” disse senza tante cerimonie.

“Sa dove si trova?”

“Sta rifornendo il magazzino. Perché? Chi siete?”

“Sono l’agente Sharp. Sto indagando sulla scomparsa del signore e della signora Beneveti. Ho sentito che Joseph ha avuto qualche battibecco con loro.”

A volte l’approccio più diretto bastava ad eliminare la titubanza della gente. O almeno questo sperava Adele. Studiò la barista e la donna socchiuse gli occhi. “Joseph è un bravo ragazzo. Non c’entra niente con questa storia. E poi mi pare di aver capito che è stato l’attacco di un orso.”

“Così continuo a sentire,” disse Adele. “Sa quando Joseph sarà di ritorno?”

La donna incrociò le braccia. Non c’erano tatuaggi in evidenza. Ma Adele poté vedere dei piccoli fori, vagamente coperti con una sorta di cipria, sulle orecchie e sul naso della donna, a suggerire che quando non era di servizio, portava almeno tre piercing.

“Come ho detto, Joseph è un bravo ragazzo. E poi i Beneveti erano degli stronzi.”

Adele sbatté le palpebre. L’agente Marshall si fece più vicina.

“Molto esplicita,” disse Adele. “Le spiacerebbe spiegare?”

La donna dietro al bancone sbuffò. Si voltò, prese un paio di bicchieri e si portò all’estremità del banco, versandovi dentro qualcosa da un’alta bottiglia marrone con un’etichetta dorata. Aveva appena finito di versare che due clienti dal tavolo in fondo alla sala alzarono le mani e uno di loro esclamò: “Un altro giro, per favore.”

La donna sorrise, prese entrambi i drink e li portГІ al tavolo. Poi tornГІ indietro.

Adele aspettò con pazienza, guardandola mentre tornava verso di loro. La barista strofinò le mani sul piccolo canovaccio appeso dietro al banco. “Erano degli stronzi. Parlavano ad alta voce, erano prepotenti. Era come se fossero i padroni del posto. Il signor Beneveti me ne ha fatta passare più di una. Ovviamente non avevo il permesso di farne un grosso problema. Poi ha iniziato ad allungare le mani. Il signor Beneveti ha cercato di far licenziare diversi di noi. Anche Joseph, da quello che ricordo.”

Adele annuì. “Così ho sentito dire. Sta dicendo che il signor Beneveti le ha messo le mani addosso?”

La donna sbuffò. “Non usi la sua bocca per parlare dei miei problemi. No. Ho detto che allungava le mani. Era prepotente. Lavoro in un bar. Poche inibizioni e clienti ricchi. Danno buone mance, ma parte della mia dignità,” disse indicando verso la porta, “la lascio su quei gradini all’ingresso. Altrimenti non ce la farei mai.”

Adele fissò la donna. “Va bene, quindi i Beneveti non le piacevano.”

La barista scosse la testa. “Non c’era tanto da gradire. Ricchi stronzi. Davano buone mance, e questo è giusto. Ma se fai come loro, è facile dare mance e poi sperare che i tuoi problemi svaniscano. Non dico che non fosse carino da parte loro. Ma sì, non mi piacevano. Non piacevano a un sacco di gente.”

Adele tamburellò le dita sul bancone. “Inizio a percepire la sensazione. Bene, la vorrei ringraziare per il suo tempo. C’è nient’altro che magari ha notato? Niente di strano? Qualcuno che conosce che avrebbe potuto covare del rancore per i Beneveti?”

“Pensavo fosse stato l’attacco di un orso,” ripeté la donna.

Adele scrollò le spalle. “Sto solo mettendo i puntini sulle i. Le viene in mente niente?”

La donna fece per rispondere, ma subito la sua espressione spensierata e il suo atteggiamento senza filtri mutarono. Una maschera di preoccupazione rapidamente lasciò spazio a un’espressione docile e obbediente. Raddrizzò la schiena, tirò indietro le spalle e sorrise con cortesia. “È tutto?” chiese, con tono attento e gentile.

Adele si accigliò, poi sentì il tintinnio di un campanello alle sue spalle e si voltò a guardare.

Un uomo con un abito grigio si trovava sulla porta. Non si era neanche messo una giacca. Era basso di statura, grassoccio e quasi calvo. Un inserviente alle sue spalle teneva sottobraccio una giacca. L’uomo stava scuotendo la testa e il suo viso era rosso e paonazzo. “Scusatemi,” disse con voce severa. “Scusatemi, voi due!”

Adele ci mise un paio di secondi a capire che l’uomo si stava rivolgendo a lei e all’agente Marshall. Si voltò. “Sì?”

“State importunando i miei dipendenti?”

Adele si rese conto un secondo dopo che l’uomo con il giaccone al braccio era Otto. Il signor Klein sussultò imbarazzato e scosse la testa, pronunciando un tacito Scusate.

Adele guardò l’uomo. “E lei chi è?”

“Sono il direttore Adderman. Sono a capo di questa struttura. Ho sentito che state dando fastidio ai miei dipendenti.”

Parlava con tono severo ma tranquillo. Con la sicurezza tipica di chi è al comando. Abbastanza forte perché Adele potesse percepire la sua antipatia per loro, ma abbastanza sommessamente da non farsi sentire dai clienti presenti. Si avvicinò e la sua voce seguì i suoi passi. Era più basso di Adele di una buona spanna. Anche l’agente Marshall era più alta di lui.

“Vi devo chiedere di andarvene subito,” disse il direttore.

Adele inarcò un sopracciglio. “Temo che lei non possa farlo. Questa è un’indagine criminale.”

Il volto del direttore Addermann si fece ancora più rosso. “Tenga la voce bassa,” disse con tono secco. Allungò una mano e afferrò il polso di Adele, pronto a trascinarla verso la porta.

Adele rimase ferma e ruotò il braccio divincolandosi. Lanciò all’uomo un’occhiata torva. “La avviso di non toccarmi un’altra volta. Ce ne andremo quando saremo pronte. Non rispondiamo a lei.”

“Questa è proprietà privata,” disse il direttore, agitando un dito davanti al naso di Adele.

L’agente Marshall scosse la testa. “Non ha importanza. Stiamo indagando. Se desidera, può discuterne con il mio capo.”

“E chi sarebbe il suo capo?” chiese l’uomo.

“Il direttore Baumgardner,” disse la giovane senza battere ciglio.

Parte della furia dell’uomo parve raffreddarsi. “BKA? E lei? Da dove viene lei?”

Adele scrollò le spalle. “FBI. Interpol. Stiamo indagando sulla scomparsa del signore e della signora Beneveti. Abbiamo saputo che erano clienti regolari qui. È vero?”

Il volto del direttore era ancora più paonazzo di prima. Scosse la testa. “Piantatela di importunare i miei dipendenti. Lasciate stare i clienti. Dovete indagare: bene. Non vi posso fermare. Ma finitela di rovinarmi gli affari.”

“Come potremmo mai farlo?” disse Adele accigliandosi.

A quel punto, abbassando la voce ancora di più, il direttore si chinò verso di lei e sibilò: “È stato l’attacco di un orso! Questo hanno detto quelli della ricerca e salvataggio. Questo è quello di cui siamo convinti. La pianti di spaventare i miei clienti. Un paio di persone hanno già fatto delle domande. Se mi manda all’aria gli affari, Dio mi aiuti, la denuncio. La denuncio fino a che di lei non rimarrà più niente. Chiaro?”

Adele lo fissò e scosse la testa. “È il resort che sta avvalorando la storia? Spingendo la gente a credere che si sia trattato dell’attacco di un orso?”

Il direttore la scrutò con circospezione. Le sue guance arrossate parevano avvampare sia di rabbia che di freddo. Fece un passo indietro e scrollò le spalle. “Noi diciamo solo quello che ci ha riportato la squadra di ricerca e salvataggio. L’indagine sta a voi. Ma piantatela di importunare i miei dipendenti e i miei clienti. Grazie.”

Si fece da parte e indicГІ la porta allungando con finta cortesia un braccio.

Adele guardò la mano dell’uomo. Per pura ripicca, voleva restare. In un angolo della sua testa stava pensando a cosa avrebbe fatto John. Probabilmente avrebbe ordinato qualcosa da bere proprio davanti al direttore, godendosi il rossore che imporporava sempre più il volto dell’uomo. Ma Adele non era John. Non era tipa da permettere al proprio orgoglio di decidere per lei. Il direttore non la voleva qui. Era maleducato, prepotente. Spaventato. Spaventato di perdere il suo lavoro. Un altro resort stava per aprire poco distante, ugualmente lussuoso, e forse era quello il motivo che l’aveva reso tanto nervoso.

C’erano un sacco di soldi coinvolti in posti come quelli. Più di quanto lei avrebbe mai pensato. E dove c’erano i soldi, c’era un movente.

Adele passГІ le dita sopra al bancone. Qualcosa nel legno freddo sotto ai suoi polpastrelli le fece spostare lo sguardo oltre il direttore, verso le finestre che si affacciavano sulle piste da sci.

Di nuovo, aveva solo dieci anni. Di nuovo, vide suo padre e sua madre seduti di fronte a lei in… una sala da pranzo? No, non una sala da pranzo. Un ristorante. Anche quello vicino alle piste. Ricordava che da bambina sciava. Nelle Alpi. Adele si fermò e si accigliò.

Bellissimi ricordi, ma disseminati di scene di rabbia. Litigi. Grida.

Rabbrividì, desiderando che quei pensieri svanissero.

Scosse la testa, come a voler cacciare via un’emicrania, e si alzò in piedi, allontanandosi dal bancone. Fece un cenno del capo in segno di ringraziamento alla barista e un rigido saluto con la mano al direttore. L’agente Marshall la seguì. Le due donne uscirono dal bar e scesero i gradini.

“Beh, è stato un momento vivace,” disse la Marshall sottovoce.

“Sì,” disse Adele. “Il direttore ha un velato interesse nel fermare le indagini.”

“Cosa pensi?” chiese la Marshall, ora sottovoce.

Adele fece ancora qualche passo, assicurandosi che nessuno dal bar potesse sentirle. “Mi sto chiedendo se ci sia dell’altro che possano aver coperto. Qualsiasi cosa. Ci sono in ballo un sacco di soldi qui.”

La Marshall si accigliò. “Non pensi che il direttore abbia qualcosa a che vedere con l’omicidio, vero?”

Adele sollevò le spalle. “Non posso esserne certa. Ci sono un sacco di sospetti qui. Il nostro lavoro è di sfoltire l’elenco.”

“Quella coppia svizzera in Francia? Nessuna notizia da quel fronte?”

Adele scosse la testa. “Non ho avuto modo di ragguagliarmi con gli investigatori.”

“Però li conosci, no? So che hai lavorato con in francesi in passato.”

“Sono in parte francese. Anche americana. E tedesca.”

La Marshall fischiò mentre si avvicinavano al golf cart. “Tre cittadinanze? Impressionante. Parli molto bene la lingua.”

“Grazie. Ma no, nient’altra informazione sugli svizzeri. Appena ne avrò l’occasione, parlerò con gli investigatori.”

Adele entrò nel golf cart con la Marshall e la giovane agente iniziò a guidare tornando verso l’ala principale del resort.

Adele era pensierosa mentre si spostavano, il volto sferzato da fredde folate di vento. Osservò le montagne e gli alberi, ripercorrendo con gli occhi i sentieri innevati. I Beneveti erano stati assassinati. Ne era certa. Il rapporto del medico legale sarebbe arrivato molto presto, ma l’avrebbe confermato. Però le congetture non erano niente senza gli indizi. Una sensazione di pancia significava poco senza una direzione. Se intendeva portare anche altri a credere al suo istinto, avrebbe dovuto trovare prima delle solide prove.




CAPITOLO DIECI


Adele reclinò la sedia imbottita accanto al caminetto, contornato di pietre che ne delineavano la sagoma, curvando poi verso l’alto a formare una canna fumaria che usciva dal soffitto. Alle sue spalle le pareti di vetro erano spoglie, le tende scostate che permettevano alle stelle di guardarla ammiccando. Il bagliore bianco e tenute che veniva dal cielo si mescolava con l’arancione baluginante irradiato dal fuoco.

Adele pensГІ vagamente a Robert e alla sua villa. PensГІ a sГ© stessa seduta accanto al fuoco con il suo vecchio mentore, entrambi concentrati sulle fiamme e sugli appunti del loro caso.В  Adele teneva la mano posata sul bracciolo, le nocche che sfioravano leggermente il tavolo circolare su cui aveva posato il suo telefono.

Aspettava.

Il rapporto del medico legale era atteso a momenti. Avrebbe confermato i suoi sospetti. Doveva farlo.

Ormai aveva fatto incazzare il direttore del posto e agitato un paio di dipendenti. Questo era un gioco politico. La presenza dell’agente Marshall ne era la prova. Quello che le era stato raccontato della situazione andava solo a sottolineare ancora di più il bisogno di risposte. E presto. Domani ci sarebbe stata l’apertura del nuovo resort. Migliaia di posti di lavoro, centinaia di milioni di dollari, un’intera industria alimentata dal denaro.

E in montagna, due coppie scomparse. Una trovata morta, fatta a brandelli.

Adele guardГІ il telefono, ma lo schermo era grigio e opaco. Ancora niente notifiche. Si appoggiГІ allo schienale, incrociando le mani sopra allo stomaco e fissando il fuoco.

Le fiamme avevano un potere ipnotizzante che richiamava l’attenzione. Alcuni ricordi erano simili. Emozioni che alimentavano le fiamme del pensiero e richiedevano attenzione su un tempo diverso. Erano proprio pensieri così che si intrufolavano nella mente di Adele.




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